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Il significato dei nomi di Sala e Parisi che preferisce l’autonomia

Maurizio Crippa
Quando gli proposero di candidarsi sindaco, Gherardo Colombo lasciò cadere: “Non mi riconosco nella sola sinistra”. Ma guidare il Comitato per la legalità e la trasparenza che Beppe Sala intende istituire – a fianco, di sopra o “in collaborazione con” la sua giunta? P
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Milano. Quando gli proposero di candidarsi sindaco, Gherardo Colombo lasciò cadere: “Non mi riconosco nella sola sinistra”. Ma guidare il Comitato per la legalità e la trasparenza che Beppe Sala intende istituire – a fianco, di sopra o “in collaborazione con” la sua giunta? Per ora non si sa – nel caso diventi sindaco domenica 19, è un invito che l’ex pm di Mani pulite accoglierà. Perché molto si riconosce in una certa idea della legalità: le regole, ma anche la supervisione della legge rispetto all’autonomia della politica. Visione che del resto condivide con Umberto Ambrosoli, leader del Pd in regione ma soprattutto garante elettorale di Sala, che pure avrà un incarico in giunta, settore “competenze sulle regole” (ma anche rapporti con la regione, a guida leghista, che non saranno facili). Non è detto che un Comitato per la legalità sia essenziale, ma come segnale elettorale il messaggio di Sala arriva diritto all’obiettivo. L’obiettivo sono le svariate sfumature di forcaiolismo di una certa sinistra milanese: quella che Colombo lo voleva sindaco, appunto, che a Mr. Expo ha fatto la guerra ai tempi delle primarie e che ora ha la sua foglia di fico identitaria da votare.

 


A una settimana dal voto il candidato della sinistra Beppe Sala ha lanciato, come dicono i ciclisti, la volata lunga. Giocando in anticipo su Stefano Parisi, l’outsider del centrodestra arrivato a un’incollatura di 5.000 voti al primo turno, e scegliendo un terreno su cui Parisi potrebbe avere – spiegano i conoscitori del centrodestra milanese – più difficoltà. Ovvero la lista dei nomi. Ma quelli annunciati da Sala hanno un senso politico preciso. Chi si aspettava, almeno come prima mossa, il coinvolgimento di qualche personalità di grosso calibro nel mondo della ricerca, dell’economia, dei rapporti internazionali, è rimasto deluso. Gherardo Colombo, che pure non è un Davigo e da molto tempo ha lasciato la toga, rappresenta la perfetta continuità con la storia della sinistra giustizialista meneghina. L’offerta di  un ruolo come “mia principale consigliera per la politica internazionale” a Emma Bonino è di facile richiamo per l’elettorato, ma è con tutta evidenza collegata all’endorsement ricevuto dai Radicali della Lista Cappato (1,8 per cento al primo turno). Dunque un nome politico, laddove a Milano servono tecnici in grado  di parlare con l’Europa e con il mondo del business. Il direttore di Radio Deejay, Pasquale Di Molfetta in arte Linus, che pure è bravo, è buttato nella mischia per vedere l’effetto che fa: “Può aiutare la città su molti fronti: ha una grande conoscenza dei giovani, può fare tanto per la creatività”. Il mix di vecchia politica ed elettorato pop potrebbe risultare vincente, domenica. Ma indica anche una direzione di marcia sulla via del recupero del voto della sinistra-sinistra e di qualche punto percentuale.

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Dal canto suo, Stefano Parisi insiste a non volere anticipare nomi (“nel non dire chi sono i miei assessori io difendo la mia autonomia”), a parte l’esclusione (“deve occuparsi di politica nazionale” di Matteo Salvini e la confermata collaborazione di Gabriele Albertini, sulle cui capacità di amministratore nessuno ha da eccepire. Però ieri, sul tema della legalità, Parisi ha contrattaccato alla scelta di Colombo ponendo un intelligente problema di metodo: la legalità, ha detto, “deve essere un fattore fisiologico e ordinario nel Comune, non una cosa straordinaria, e deve essere garantita con strumenti ordinari. Non abbiamo bisogno di supermagistrati”, bisogna invece puntare su una collaborazione istituzionale con la Procura, e su modelli di gestione controllabili, come nelle aziende. Proprio Albertini ha ricordato, a Sala che vuole tutelarsi con gli ex pm perché a Milano “serve investire molto”, che “in nove anni di governo di Milano abbiamo fatto il triplo degli appalti della giunta Pisapia, senza mai un avviso di garanzia”. Due modi di vedere la questione profondamente diversi, e va del resto tenuto presente che un’Autorità anticorruzione già esiste, quella di Raffaele Cantone, e il ruolo operativo di un comitato di salute pubblica è tutto da individuare. Ma tutti gli indicatori del voto segnalano che la partita non si vincerà sulle schermaglie d’immagine, bensì sulla scelta (soprattutto quella di andare alle urne) dell’elettorato periferico. Che avverte innanzitutto i problemi della sicurezza. Domenica, da Lucia Annunziata, Sala ha insistito sulla parola “integrazione” e rilancia il tema delle case popolari curare (“problemi profondi”) e della riqualificazione dei quartieri. Parisi ha spostato la palla: il problema delle case popolari è anche un problema di abusivismo, ha twittato ieri, “troppa gente occupa una casa senza averne diritto”. Mentre quello della microcriminalità, piuttosto trascurato da Pisapia, vale anche quello qualche punto percentuale. Legalità di periferia.

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