PUBBLICITÁ

E se il modello fosse Roma e non Milano? Renzi, Berlusconi e una grande coalizione in Comune

Nessuno mette in discussione che in un contesto sostanzialmente degrillizzato il confronto tra una coalizione unita di centrodestra e una di centrosinistra altrettanto unita siano un segnale incoraggiante sulla via di un ritorno a un bipolarismo maturo. Ma il problema è che l’Italia non è Milano.
PUBBLICITÁ
E se il modello vero fosse Roma invece che Milano? Venerdì scorso li abbiamo visti negli occhi, li abbiamo intervistati a Milano al teatro Franco Parenti e abbiamo avuto la conferma, nel corso del loro primo confronto pubblico, che Stefano Parisi e Beppe Sala sono i veri sindaci d’Italia, due modelli seri e competenti di candidati alla guida della città più pimpante del paese che, da due prospettive diverse, offrono ai loro elettori una sensazione piacevole e rassicurante che suona più o meno così: chiunque vincerà avrà qualcosa di diverso rispetto all’altro ma avrà certamente le competenze e le caratteristiche giuste per mettere Milano sulla traiettoria delle grandi capitali europee. Sala e Parisi, per il centrosinistra e il centrodestra, sono due modelli, come un modello è la città in cui sono candidati, ma il punto, e qui veniamo alla ciccia della questione, è che Milano è unica, così come sono uniche e forse irripetibili le caratteristiche delle coalizioni che appoggiano i due manager.
 
Nessuno mette in discussione che in un contesto sostanzialmente degrillizzato il confronto tra una coalizione unita di centrodestra e una di centrosinistra altrettanto unita siano un segnale incoraggiante sulla via di un ritorno a un bipolarismo maturo. Ma il problema è che l’Italia non è Milano. Il problema è che le condizioni del capoluogo lombardo sono uniche. E il problema è che il mastice utilizzato dalle coalizioni che si contendono il dopo Pisapia non si trova in nessun’altra parte d’Italia e forse non lo si troverà mai. E allora torniamo alla nostra provocazione: e se il modello vero fosse la Roma degli spezzatini invece che la Milano dei minestroni? Nessuno sa dire naturalmente quale sarà il destino della Capitale d’Italia e nessuno sa dire se sarà la Raggi a battere chiunque arriverà con lei al ballottaggio o se sarà viceversa chiunque arriverà al ballottaggio a battere la candidata del movimento delle procure. Fatto sta che, dovendo immaginare una qualche proiezione su quello che sarà il contesto all’interno del quale si andranno a misurare le forze politiche quando si tornerà a votare a livello nazionale, oggi il vero modello che tocca osservare con attenzione è quello romano più che quello milanese e il nostro ragionamento prescinde persino da quello che sarà il risultato finale del voto capitolino.
 
 
A Roma ci sono cinque diverse idee d’Italia che si confrontano tra loro e se l’attuale legge elettorale non verrà cambiata è probabile che quelle cinque diverse idee d’Italia si andranno a confrontare il prossimo anno quando, crediamo noi, verranno sciolte le Camere. C’è l’Italia grillina, che può non piacere, come non piace a noi, che a livello nazionale vale sempre zeru tituli ma che, a differenza di Milano, nel paese esiste ancora. C’è l’Italia della sinistra anti renziana, rappresentata da Fassina e da un ampio schieramento delle sinistre che appoggia la sua candidatura, che sfida un’altra Italia, quella rappresentata da Giachetti, che ha scelto di rinunciare alle zavorre comuniste. C’è l’Italia della destra nazionalista e sovranista, come la chiama giustamente il professor Giovanni Orsina, rappresentata dalla coppia Meloni-Salvini, che si ispira al pensiero e al percorso tratteggiato in Francia dalla signora Marine Le Pen. C’è, infine, l’Italia della destra moderata, che ha scelto di rinunciare alle sue zavorre lepeniste, rappresentata, con il faccione di Alfio Marchini, da una coalizione atipica, più centrista che estremista, che a Milano non si vede ma che rischia di essere, a determinate condizioni, la stessa formazione che scenderà in campo alle prossime elezioni e che è pronta, per resistere all’avanzata di tutti i populismi, a prendere in considerazione l’idea di avvicinarsi più al centrosinistra moderato che allo smoderato centrodestra.
 
 
E’ uno schema evidente che vale a Roma, così come vale a Napoli, così come vale a Torino e così come vale in tutte le grandi città che non sono come Milano ed è uno schema che rispecchia una volontà precisa di Silvio Berlusconi. Una volontà che ovviamente verrà smentita dal diretto interessato mentre stiamo scrivendo ma che a oggi si può leggere in controluce dietro le parole che l’ex premier usa spesso per inquadrare la famiglia da cui provengono i suoi alleati non alleati del centrodestra lepenista: “Ci sono dei movimenti anti europei – ha ricordato venerdì scorso il Cav. parlando della musa ispiratrice delle Meloni e dei Salvini – cui guardiamo con preoccupazione. Alcuni mettono in discussone anche l’Europa stessa, sia a destra sia a sinistra, e mi riferisco alla situazione di Podemos in Spagna e a quella del Front National in Francia”. Berlusconi, nelle prossime settimane, continuerà a dire che il modello del futuro, per il centrodestra, è quello di Milano, è quello della foto di Bologna, è quello della coalizione referendaria, è quello del comitato di liberazione anti renziano, è quello di un centrodestra unito, con tutti ma proprio tutti dentro. Lo scenario romano, e a loro modo anche quello napoletano e torinese, potrebbero però indicare una via diversa per il centrodestra. Una via in cui, in caso di ballottaggio tra un centrosinistra moderato e un movimento populista, la strada del centrodestra moderato non potrà che essere quella di un accordo con i candidati più di governo. Marchini e Giachetti a Roma. Napoli e Fassino a Torino. Valente e Lettieri a Napoli.
 
 
Come abbiamo scritto più volte su questo giornale, le elezioni comunali non serviranno certo a misurare il valore specifico dei partiti e delle coalizioni: in ogni città, si sa, si vota soprattutto per i sindaci e non per i volti che sostengono quei sindaci. Ma le strategie che i vari partiti sceglieranno di adottare nei ballottaggi ci diranno invece molto su quelle che sono le vere linee di tendenza della politica nazionale e ci aiuteranno anche a capire se la profezia consegnata qualche giorno fa a questo giornale dal professor Michele Salvati ha o no speranza di concretizzarsi: Renzi e Berlusconi, al netto dei capricci referendari, dopo le elezioni capiranno definitivamente che la distanza tra di loro è infinitamente più breve rispetto alla distanza che esiste tra i loro alleati tradizionali. Qualcuno lo chiamerebbe nuovo patto del Nazareno. Forse però stavolta potrebbe essere semplicemente un patto di buon senso. Un centrodestra moderato che si unisce a un centrosinistra moderato portando nelle città il modello che governa l’Italia da cinque anni: quella grande coalizione che Renzi e Berlusconi sono forse destinati ad avere in Comune ancora a lungo.
PUBBLICITÁ