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Putin dissemina nuovi indizi del suo attacco globale, tra la Moldavia e Odessa

Adriano Sofri

La presidente moldava, Maia Sandu, è tornata a denunciare la preparazione di un colpo di mano delle forze filorusse nel paese. Molte cose che questa guerra sta mettendo in mostra sono difficili da capire. Il caso della naturalezza con cui si racconta e banalizza l'esercito privato Wagner

Odessa, dal nostro inviato. Negli ultimi giorni si è rifatto un po’ di rumore, da parte russa, su Odessa e la costa del Mar Nero, fino al sorvolo della Romania, denunciato dagli ucraini e smentito diplomaticamente dalla Romania stessa, dal momento che ha coinvolto un paese della Nato, e dalla Nato fortemente presidiato. Può trattarsi di diversivi, tesi a impegnare su più fronti le difese ucraine, o del proposito di dare alla famosa offensiva russa il connotato di un attacco generale.

Ma gli indizi sono troppi. La Moldavia prima di tutto. Qui il sorvolo del missile russo non è messo in dubbio, e coincide con le dimissioni internazionalmente “suggerite”, e da lei volentieri accettate, alla signora primo ministro, Natalia Gavrilita, che ha spiegato che una guerra di questa fatta eccede largamente le sue ambizioni e competenze. L’ha sostituita Dorin Recean, già ministro e poi segretario del Consiglio di sicurezza, dunque dotato di quelle competenze. La presidente, Maia Sandu, è tornata ieri a denunciare la preparazione di un colpo di mano delle forze filorusse nel paese e nella separatista Transnistria, dove si trova una guarnigione russa: sarebbero progettati assalti agli edifici pubblici e prese di ostaggi, con l’intervento anche di agenti stranieri. Chisinau e la Moldavia sono una cerniera cruciale per i desideri di Putin, una volta che si riautorizzassero la megalomania del 24 febbraio di un anno fa. Sottrarre la Moldavia all’Ue cui è, come l’Ucraina, candidata, e farne invece un passaggio verso il ventre molle d’Europa, dall’Ungheria giù verso i Balcani, e insieme la base per una risalita lungo la costa fino a Odessa, che resta in cima alla smania di possesso di Putin. Il quale ha disseminato gli indizi. Il “barchino-drone anfibio” mandato a esplodere sotto un pilastro a Zatoka, dove il ponte, cruciale per le comunicazioni fra Odessa e Bessarabia, era stato ripetutamente bombardato all’inizio dell’attacco russo. Ancora più ostentato il bombardamento che ha colpito con cinque esplosioni la famosa Isola dei Serpenti, Zmiinyi, senza fare vittime e probabilmente senza proporsele – i bersagli umani sono rari su quello scoglio – ma con l’intenzione dei russi di mostrarsi pronti a ricominciare da dove erano stati interrotti e umiliati. A Odessa città, sirene e scoppi non sono mancati, per lo più esercitazioni notturne della difesa. La vita quotidiana non ne sembra esteriormente toccata, gli animi della gente probabilmente sì. L’esodo dei cittadini non è compensato dagli arrivi dei rifugiati. E’ difficile capire quanta popolazione abbia oggi Odessa. 

E’ difficile, almeno per me, capire molte cose che questa guerra sta mettendo in mostra. L’esercito privato Wagner, per esempio, e la naturalezza con cui lo si racconta e banalizza. Certo, c’è stata una meticolosa assuefazione di anni, africana soprattutto. L’Africa è il laboratorio di sperimentazione delle infamie universali, fra le quali le avventure degli eserciti mercenari hanno tenuto un posto primario, combinate con gli interessi di dittatori locali. Ma la Wagner era, e tutti lo sapevano, l’esercito mercenario del Cremlino, da cui riceveva l’aiuto materiale e cui riportava stretto fra i denti il bottino delle sue battute di caccia. In Ucraina il congegno si è disvelato spettacolarmente: la Russia si batte con due eserciti (tre, con i kadyrovtsy, non all’altezza del loro rumore) scopertamente rivali. All’ombra della loro contesa altri potentati economici s’impegnano a promuovere i propri privati servizi di sicurezza e di guardie del corpo – spesso si tratta di guardie del corpo e autisti divenuti amministratori delegati e oligarchi – in eserciti capaci di sostenere la concorrenza e di non venire travolti da una possibile resa dei conti. Quando ci si interroga su una Federazione russa sconfitta e divisa, e sulla spartizione delle sue spoglie e in particolare del suo arsenale atomico, il più grosso del mondo, è ragionevole pensare che i candidati a fare la parte maggiore siano questi eserciti privati o privatizzati, oggi usati per la gara al comportamento bellico più esaltato e feroce, domani pronti a combattersi senza più obbedienze. E’ l’occasione dei pretoriani alla caduta dell’impero. La Wagner è meglio piazzata, perché ha alla testa un criminale di professione, e il potere che succedesse a quello di Putin non toglierà il proprio credito dalle istituzionali sedi del crimine politico, il Kgb/Fsb o le Forze armate, ma dal crimine di professione. La mafia, sarà il modello. E, della mafia, il feudalesimo aggiornato all’ultima tecnologia, fino al sopravvento provvisorio di una cupola. 

Ma c’è un rapporto inquietante – molto più che inquietante, in realtà – che non trovo osservato. Il mondo contemporaneo, le sue risorse, il suo Avvento – la globalizzazione – hanno potenziato all’estremo la libertà dell’impresa privata, sia pur conservandole un legame con lo stato d’origine, dal quale farsi tutelare e al quale riportare una parte del proprio bottino. Non avevo immaginato a che punto l’autonomizzazione della impresa privata potesse arrivare, fino a questi giorni, al gioco di ricatti e intimidazioni messo in scena da Elon Musk e dalla sua presidente di rappresentanza sull’uso di Starlink da parte dell’Ucraina. Le migliaia di satelliti di Starlink, e in generale la vulcanica attività di Musk, non si possono paragonare a un esercito mercenario, se non in quanto è mercenaria ogni impresa capitalistica e rischiosamente affine a un esercito quando interviene in ambiti eminentemente militari. Per un modo di pensare all’antica, memore della questione del monopolio della forza in capo allo stato, in uno stato di diritto, e caso mai anche del monopolio di attività strategiche benché non direttamente legate all’uso della forza, già la libertà d’impresa privata di organizzare viaggi sulla Luna e su Marte e sugli altri mondi, appare come un eccesso di zelo. Nel caso di Starlink però è in ballo direttamente la forza. Gli ucraini si sono avvalsi di un grazioso dono di Musk, e a nessuno di noi è venuto in mente di figurarcelo come un caso di privatizzazione delle risorse strategiche nel corso di una guerra: una specie di rispecchiamento della banda Wagner, fatto di minisatelliti maneggiati con maestria sul campo. E’ più inevitabile figurarselo ora, nel momento in cui il capriccio o chissà quale altro calcolo induce Musk e la sua presidente Shotwell a ritirare il suo grazioso dono, e a infliggere così un colpo durissimo alla difesa ucraina – reso beffardo dall’evocazione della differenza fra usi difensivi o offensivi dei droni, ipocrisia peraltro presto accantonata. La Russia alla fine della sua decadenza può barbaramente promuovere il suo esercito di mercenari criminali in gara col suo esercito non più professionale, di deportati al fronte. L’occidente, e dunque il resto del mondo, specialmente i suoi attori più danarosi, non so, il Qatar, può lasciare che delle compagnie private facciano il bello e il cattivo tempo sui campi di battaglia con le imprese colossali di cui sono titolari esclusive. Oltretutto, con la memoria ancora fresca di che cosa può avvenire quando dalla Casa Bianca si chiamano i pretoriani a salvare il trono.

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