Ramon Casas i Carbó, "Ragazza decadente", 1899 (Wikimedia Commons) 

piccola posta

Ma Guido Vitiello ha letto veramente tutti quei libri?

Adriano Sofri

Dalle indicazioni che dà nel "Lettore sul lettino", sarebbe bello prenderlo in castagna, ma i calcoli sono complicati. In attesa di finire il suo, di libro, una riflessione sul bovarismo che quelle pagine suscitano

Non scrivo ancora del Lettore sul lettino di Guido Vitiello per due ragioni. La prima, che lo leggo rapsodicamente, cioè a pezzi, e a questo punto ci sono pezzi che non ho ancora letto e altri che ho letto tre volte o quattro – per quanto li maneggiate a occhi chiusi, i libri si aprono sempre dove siete già passati, come certi sentieri nel bosco. La seconda ragione è maligna: vorrei calcolare, sulla scorta dei tempi indicati da Vitiello per la lettura media di un libro di tot pagine eccetera, se lui abbia avuto il tempo sufficiente a leggere tutti i libri che cita nelle dodici pagine di Bibliografia in corpo 8. So infatti almeno che ha una ragazza e un cane e una rubrica quotidiana e una settimanale dunque non passa tutto il tempo a leggere, mi piacerebbe prenderlo in castagna. Ma dubito di avere il tempo per fare il conto.

Oggi voglio dirgli una cosa sul bovarismo. Tra il 1892 e il 1902, scrive Guido, Jules de Gaultier “elaborò una geniale teoria del bovarismo”. Cioè “il potere concesso all’uomo di credersi diverso da quello che è”. Il bovarismo, come il donchisciottismo, è infatti un connotato essenziale di tutti i personaggi di tutti i romanzi, anzi dell’intera umanità. Ci penserò, ma intanto mi ribello alla naturalezza con cui il bovarismo viene qui applicato all’umanità senza distinzione di sesso, e anzi “all’uomo”, nome già ambiguo ma tendente al maschile. (Di misurarmi con Vitiello sul nodo del genere non me lo sogno nemmeno: sono rimasto indietro di una dozzina di mutazioni linguistiche).

Vorrei tenere stretto il bovarismo alla sua connotazione femminile. Capisco che il primo ad autorizzare, anzi a eccitare la confusione fu Flaubert, dichiarando che madame Bovary era lui. Gran sentenza, che potrebbe essere incriminata come un manifesto di mansplaining. Se le si passa sopra, come a una manifestazione di autoindulgenza paternalistica, e si restituisce il bovarismo alla sua incarnazione femminile, si può trovarci un modello, se non di resilienza (io non scrivo resilienza, ho la mia età), sì di resistenza. Fonderei l’obiezione sulla dimostrazione della differenza radicale fra i romanzi cavallereschi e i romanzi sentimentali. Fra Primaléon e Palmerin d’Oliva, e Paul et Virginie. Peccato, non ho tempo.

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