Partigiane fiorentine dopo la Liberazione (LaPresse) 

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Giorgini racconta “L'Adria”, bella, audace, romantica, libera. Sua madre

Adriano Sofri

Una romanzesca storia di famiglia: la lotta partigiana, la liberazione delle Valli e di Ravenna. “Storia di un amore partigiano”, è il sottotitolo, l’amore dell’Adria per l’uomo che sarà il padre naturale di Bruno. Ma il libro è soprattutto l’amore di Bruno per quella ragazza com’era prima di diventare sua madre, raccontato in un’intimità brusca e sicura

Bruno Giorgini è nato a Forlì nel 1946, è stato militante rivoluzionario e fisico teorico e ha tenuto a indagare il legame quasi necessario fra le due vocazioni. Fisico dei sistemi complessi, un po’ come Parisi, lui al seguito parigino del Nobel Pierre-Gilles de Gennes, “scopritore del limite critico nella formazione delle valanghe, studiato attraverso modelli di mucchi di minuscole palline sovrapposte, fino alla pallina di troppo – la goccia che fa traboccare il vaso”. Lui stesso ha studiato “la propagazione delle fratture in un sistema viscoelastico – cioè nello scotch: l’effetto stick-slip sul nastro da pacchi, come si strappa quando è tirato”. Lui e i suoi hanno srotolato nastri adesivi per due anni. Oppure gli spaghetti: “Se prendete ai due capi uno spaghetto e curvate, in quanti pezzi si spezzerà, perché?” (più di due, comunque: provate). Intanto è stato giornalista di carta e radio, in Italia e fuori.

Ora ha pubblicato un romanzo, dopo averlo lavorato molti anni, e saggiato in periodiche uscite parziali. Un romanzo è un cimento di quelli che possono essere fatali, e trascinare nella rovina un’intera molteplice onorata esistenza. Con questa trepidazione l’ho letto, e me ne sono presto rassicurato. Giorgini aveva un vantaggio iniziale: una romanzesca storia di famiglia, e il tempo e il luogo in cui la vicenda dei suoi attori s’incrociò con la precipitazione della storia: la lotta partigiana, la liberazione delle Valli e di Ravenna. Dell’attrice, soprattutto, “L’Adria”, ragazza, bella, audace, romantica, libera. Sua madre. “Storia di un amore partigiano”, è il sottotitolo, l’amore dell’Adria per l’uomo che sarà il padre naturale di Bruno, fortunato di due padri. Ma il libro è soprattutto l’amore di Bruno per quella ragazza com’era prima di diventare sua madre, raccontato in un’intimità brusca e sicura.

Intenzione sconcertante, dapprincipio: immaginare corpo e anima, gambe e pagliuzze negli occhi, e desideri e pene di colei di cui diventerà figlio. Era già successo però. Nei “Versi livornesi” di Giorgio Caproni, nel libro poetico (1950-58) che dedica a sua madre, Anna Picchi. Come nell’“Ultima preghiera”: Anima mia, fa’ in fretta. / Ti presto la bicicletta, / ma corri… / Arriverai a Livorno, / vedrai, prima di giorno… / Livorno, come aggiorna, / col vento una torma / popola di ragazze / aperte come le sue piazze. / Ragazze grandi e vive / ma, attenta!, così sensitive / di reni… /… / Porterà uno scialletto / nero, e una gonna verde. /… / tu mòrmorale all’orecchio / (più lieve del mio sospiro, / messole un braccio in giro / alla vita) in un soffio / ciò ch’io e il mio rimorso, / pur parlassimo piano, / non le potremmo mai dire / senza vederla arrossire”.

Ha fatto questo, Giorgini, in una prosa certa ed esperta di luoghi e generazioni, paesaggi, dialetti, mestieri: mettere un braccio attorno alla vita della ragazza Adria, la ciclista, la gappista, l’amante, la capace di durezza e di grazia. Finiva così, Caproni, spedendo la sua anima da Annina Picchi: 
“Dille chi ti ha mandato:
suo figlio, il suo fidanzato”.
(“L’Adria. Storia di un amore partigiano”, Pendragon,  224 pp., 16 euro).

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