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piccola posta

Poche storie, Mussolini era razzista da sempre

Adriano Sofri

L'antisemitismo del duce ha subito una crescita nella concorrenza con i vertici nazisti. Ma la ricerca di Giorgio Fabre e Annalisa Capristo testimonia come la discriminazione antiebraica sia stata largamente anticipata da quella contro i neri e gli slavi

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Continuando un lungo e fruttuoso impegno documentario sul razzismo fascista, Giorgio Fabre (con la collaborazione di Annalisa Capristo) ha appena pubblicato “Il razzismo del duce. Mussolini dal ministero dell’Interno alla Repubblica sociale italiana” (Carocci, pp. 549, 49 euro). Mussolini tenne pressoché sempre il ministero dell’Interno tra il 1922 e il 1943, e ne fece il centro dell’attività razzista e antiebraica del regime. In mancanza delle carte del ministero, Fabre ha fatto un uso capillare e largamente inedito di quelle della Corte dei Conti, che consentono una ricostruzione indiretta delle iniziative e delle carriere personali. Impressionanti sono le pagine in cui si riferiscono nomi e biografie dei principali responsabili del razzismo antisemita, prefetti, alti dirigenti, “esperti”, che quasi tutti scampano all’epurazione dopo la caduta del regime. Anzi, fra gli addebiti cui devono rispondere, non figura quasi mai il loro operato nell’attuazione delle leggi razziste. In molti casi, l’impunità e il reintegro in posizioni elevate della burocrazia statale postfascista si accompagnano a promozioni e consistenti premi in denaro. 

 

Fabre segnala la precocità di un’attenzione alla razza da parte di Mussolini e la sua evoluzione nel tempo, con bruschi passaggi legati al confronto con il razzismo nazista e al rapporto diretto, di concorrenza e di emulazione, fra il duce e i vertici nazisti. Negli anni 30 Mussolini è impegnato ad adattare e rivendicare quella precocità. L’antisemitismo fascista è passato tuttavia attraverso le tappe ignobili e preparatorie del razzismo coloniale e “antinero”, e di quello antislavo “di confine” del primo dopoguerra. 

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Segnalo un episodio che Fabre aveva già trattato in un articolo scritto con Kilian Bartikowski, “Donna bianca e uomo nero”, nel 2009. Tra il 25 e il 29 settembre 1937 Mussolini, in visita in Germania, ebbe una conversazione con Vicco von Bülow-Schwante, capo del protocollo del ministero degli esteri, che la registrò e trasmise al suo ministro, von Neurath. “Mussolini disse che con 70.000 ebrei in Italia la questione non costituiva un problema per lui. Mentre per lui la questione razziale dei bianchi e dei neri ora stava arrivando in primo piano /Vordergrund/. Gli feci un dettagliato resoconto della questione ebraica. Concludendo questo argomento, mi disse che dopo un lungo controllo della posta in Africa aveva per fortuna /erfreulicherweise/ scoperto solo tre casi in cui delle donne italiane avevano dimenticato se stesse. Le aveva fatte bastonare come esempio deterrente e poi le aveva mandate in segregazione /Konzentration/ per 5 anni”. Fabre spiega che la cosa si riferiva “ad alcune donne italiane condannate al confino per avere avuto uno scambio (probabilmente tutto epistolare) con degli africani”. 
 

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