Piccola Posta

Il regalo di Erdogan a quelli che ridono dell'Europa debole

Adriano Sofri

Il divanetto di Ankara ha rimesso all’ordine del giorno l’inermità europea

Accantonato il primo, irresistibile e tragicomico desiderio di dichiarare guerra a Erdogan, resta la conferma incoraggiante di un’evidenza: l’Europa è donna. Nelle lingue europee, maschile e femminile si alternano a volte con effetti reciprocamente sconvolgenti, come nel caso del sole e della luna, ma il genere femminile dell’Europa non è mai in causa. Dalla storia della bellissima figlia del fenicio Agenore che Zeus rapisce per staccarla dall’Asia e unirsi a lei a Creta, fino alla propagandistica rappresentazione di Robert Kagan, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq, sugli americani che vengono da Marte e gli europei che vengono da Venere. Ora, nel fermo immagine dell’incontro di Ankara, ci sono due uomini accomodati nelle loro poltrone, un bellimbusto l’uno, insulso l’altro, e una donna elegante, aggraziata, discreta. Si è discusso della classifica in cui il protocollo mette a sedere Consiglio europeo e Commissione, ma la fotografia parlava chiaro. L’Europa, colorata per giunta, era quella che si è accomodata sul divano. Il bellimbusto aveva appena ritirato dalla Convenzione contro la violenza sulle donne il suo paese che proprio a Istanbul aveva avuto l’onore di ospitarla.

 

L’episodio ha rimesso all’ordine del giorno l’inermità europea, di fronte a un despota che ha devastato economia e società puntando d’azzardo sull’esibizione di potenza militare e sull’appello islamista. L’Europa è squisitamente debole, e autorizza ancora a credere che la debolezza sia un complemento necessario della sua femminilità. Perfino nella reazione alla pandemia, dopo aver avuto un soprassalto di tensione solidale o almeno condivisa, l’Europa si vede surclassata dal Regno Unito della Brexit, la più stolida svolta politica della sua storia contemporanea: niente è infatti peggiore del disfare un faticoso passo in avanti, tant’è vero che non si era nemmeno previsto concretamente che potesse accadere, e come regolarlo. Uno come Erdogan è un altro dei potenti di medio rango che si chiede: “Quante divisioni ha l’Europa?” Boris Johnson, più cortesemente, si chiede: “Quante fabbriche di vaccini ha l’Europa?”


Ho appena finito di guardare su Netflix la serie turca, molto bella, intitolata qui “Ethos” e là “Bir Başkadır” – “Un’altra cosa”. Mi ero imbattuto nel successo sdilinquito delle soap turche, nella Sarajevo del Dopoguerra e perfino a Belgrado. “Ethos” è davvero un’altra cosa. Per due ragioni soprattutto. Perché è una storia di donne, nella quale gli uomini sono tutt’al più comprimari e quasi sempre insignificanti. E perché è una storia di contrasti molteplici e concatenati che liquefà la descrizione di una società turca spaccata in due: tra città e campagna, laici e religiosi, uomini e donne, occidentali e asiatici, modernisti e passatisti. Descrizione che sembra confermata dalle elezioni, e corrispondente al modo in cui si dividono un po’ dovunque le società contemporanee, dove Marte prende il nome di sovranismo e Venere quello di apertura.

 

I personaggi, le protagoniste, di Ethos, sconfinano involontariamente ciascuna nel territorio dell’altra, l’analista raffinata e altolocata e razionale (ma incantata dagli sciamani peruviani e dall’ayahuasca) nell’ingenuità indagatrice della sua paziente incolta e spaventata da un fratello prepotente e dall’hodja rusticano, la supervisora dell’analista, laica e libera, nella famiglia patriarcale curda e nella sorella fanaticamente credente, la figlia dell’hodja nella vocazione alla libertà sessuale, e così via, in un intreccio da romanzo d’appendice che se ne fotte dell’inverosimiglianza e destituisce il reciproco senso di superiorità e di rifiuto. Si guarda e si mette in discussione quell’idea semplificata della Turchia spaccata in due, ma un po’ a malincuore, perché si diffida del relativismo che mette tutto sullo stesso piano, laicità e dedizione religiosa, libertà e tradizione, e si pensa che alla fine, alle elezioni, o alla risposta ai colpi di stato e alla liquidazione della democrazia, si sta o di qua o di là. Poi arriva un altro pensiero, che la tracotanza invasata e disperata di Erdogan sia la più interessata alla spaccatura, alla dicotomia, all’adunata dei refrattari a schierarsi di qua o di là. Mettere l’Europa su un divanetto di lato è un altro regalo fatto ai suoi, quelli e quelle cui bisogna impedire di sconfinare. Quelli che ridono di un’Europa che, in qualunque figura, donna colorata o uomo grigio, va ad Ankara a pagare il riscatto del sequestro continuato dei profughi.
 

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