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Piccola Posta

Il 5 marzo Francesco atterrerà a Baghdad (salvo cambiamenti)

Adriano Sofri

La formidabile avventura romanzesca del Papa pellegrino in Iraq

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Man mano che la data si avvicina – il 5 marzo – il viaggio di Papa Francesco in Iraq appare come una formidabile avventura romanzesca. D’altri tempi, si direbbe, salvo accorgersi che i nostri siano esattamente altri tempi. Annunciato da due anni, il viaggio sarà il primo mai compiuto da un Papa in quel paese. E il primo viaggio all’estero dopo lo scoppio della pandemia. 

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Man mano che la data si avvicina – il 5 marzo – il viaggio di Papa Francesco in Iraq appare come una formidabile avventura romanzesca. D’altri tempi, si direbbe, salvo accorgersi che i nostri siano esattamente altri tempi. Annunciato da due anni, il viaggio sarà il primo mai compiuto da un Papa in quel paese. E il primo viaggio all’estero dopo lo scoppio della pandemia. 

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Il Vaticano continua a confermare la data, mentre una convulsa serie di minacce le si addensa attorno. Il Covid, intanto, che già motivò il rinvio nell’anno scorso, e che imperversa in Iraq, compresa la variante inglese, e ha fatto chiudere nel paese i luoghi di culto di tutte le fedi. Francesco si è vaccinato, e immagino che altrettanto abbiano fatto tutti i suoi accompagnatori. Che ai suoi appuntamenti pubblici i fedeli e le persone in genere si limitino ad assistere in televisione è difficile da credere: alcuni, comunque, si svolgeranno senz’altro con una presenza autorizzata. 

 

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Covid a parte, c’è la questione della sicurezza. Il Papa atterrerà e ripartirà da Baghdad con aerei iracheni, e affidandosi interamente alla protezione irachena e curda. Baghdad è una metropoli in balìa di fazioni armate e di bande terroristiche: ancora un mese fa un doppio attentato suicida dell’Isis ha fatto più di trenta morti e di cento feriti. La tappa pubblica irachena più solenne sarà a Nassiriya, a Ur dei Caldei, nel leggendario luogo di nascita di Abramo, il padre delle religioni monoteistiche: lì, in una cerimonia interreligiosa, Francesco terrà il suo discorso sul dialogo fra le fedi. Una tappa privata ma di gran presa simbolica toccherà la città sacra di Najaf, sede della moschea dell’imam Ali e centro della teologia sciita: il Papa vi incontrerà il novantenne Grande ayatollah Sayyid Ali Husaymi al Sistani, la massima autorità sciita del paese. A un suo appello nel 2014, di fronte all’avanzata dell’Isis, si costituirono le forze armate paramilitari della Mobilitazione popolare, Hashd al Shaabi, poi inquadrate nelle forze armate regolari, di fatto divise in una quantità di milizie feudali, e infeudate per lo più all’Iran dei pasdaran, che rendono lo stato iracheno una mera finzione. 

 

La tappa ulteriore di Francesco sarà nella curda Erbil, dove incontrerà i governanti della regione all’aeroporto internazionale, quello dove pochi giorni fa almeno 14 razzi hanno colpito la base militare americana (che ospita anche gli italiani restanti) e abitazioni civili vicine facendo un morto, un impiegato straniero, e feriti, fra cui quattro americani. Una rivendicazione è venuta dalla Saray Awliya al Dam, una sedicente Brigata del Sangue di obbedienza iraniana: ne ha scritto qui Daniele Raineri. La messa si svolgerà l’ultimo giorno, domenica, nello stadio ubicato nel quartiere cristiano, Ankawa, la cui popolazione è cresciuta con i rifugiati dagli altri centri cristiani di Ninive e della Siria che non hanno trovato la via dell’emigrazione. La comunità cristiana in tutto l’Iraq, che era di un milione e mezzo quindici anni fa, è oggi ridotta a 400 mila persone. 

 

Intanto il Papa sarà andato in elicottero a Mosul, la grande città storica trasformata dall’Isis nella propria macabra capitale e liberata tre anni dopo, nel luglio del 2017, e da lì a Qaraqosh, la cittadina assira e sirocattolica che contava 50 mila abitanti prima d’essere occupata e devastata. Vi si sta completando la ricostruzione della chiesa dell’Immacolata, che era stata data alle fiamme: il papa vi dirà messa, aspettato con trepidazione dai cristiani di ogni credenza della piana di Ninive. Da questo distretto sarebbero partiti i razzi che hanno colpito Erbil. 

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La città è a una trentina di km da Mosul e circa 60 da Erbil, e un centinaio dall’altra città curdo-irachena di Dohuk, nel cui territorio si è rinfocolato il 10 febbraio l’attacco militare, aereo e per terra, dell’esercito turco a caccia dei militanti del Pkk, il partito dei lavoratori curdo che nell’esilio dei monti Qandil hanno la loro base principale. I bombardamenti nella zona del monte Gara, che hanno fatto vittime nei villaggi curdi, hanno ucciso secondo le fonti turche 51 combattenti del Pkk, che ne ha dichiarati 15: nell’incursione sono stati uccisi 13 agenti dei servizi turchi prigionieri del Pkk, uccisi dai carcerieri secondo la Turchia, dai bombardamenti secondo il Pkk. 

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Sull’altro versante, a Shingal-Sinjar, territorio storico degli yazidi e altra base del Pkk (anch’esso in parte della regione autonoma del Kurdistan) all’avvertimento di un’invasione terrestre della Turchia, le cui incursioni aeree sono anche lì usuali, il comando delle milizie Shaabi ha replicato inviando venerdì tre brigate della Forza di mobilitazione popolare. Alla cui testa è ora Abd al Aziz al Muhammedawi, alias Abu Fadak, appena dichiarato “terrorista” dagli Stati Uniti, succeduto nella carica a Abu Mahdi-Muhandis, morto il 3 gennaio 2020 nell’attacco del drone che uccise Qassem Soleimani.

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Questo è il contesto che rende il viaggio di Francesco favolosamente avventuroso. Una volta un viaggio papale angosciosamente atteso fu disdetto in extremis, nel 1994, da Wojtyla a Sarajevo. Cedette a malincuore alla viltà della curia. Se Francesco terrà duro, darà una certa prova personale di coraggio fisico, come sa chi abbia un’idea di quei luoghi, e di un’intenzione di testimonianza che riscatti l’esodo dei cristiani dalle culle della fede. Anche autorità irachene, qualunque calcolo le muova, hanno esortato i cristiani a tornare, senza credito. Lo stesso viaggio di Francesco probabilmente non varrà a questo, e i cristiani rimasti, soprattutto i siriani, continueranno a pregare il loro cielo che dia loro un’occasione di fuga: varrà almeno come un risarcimento simbolico, sulla terra.

  

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