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Italiani, ancora uno sforzo sulla giustizia

Adriano Sofri

L'Italia è il paese in cui l'ordine giudiziario è rappresentato da un magistrato che sostiene la presunzione di colpevolezza, anche se decine di migliaia di persone sono state risarcite per essere state ingiustamente detenute

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Lo scorso 29 gennaio si è potuto seguire per radio un incontro promosso dal Partito Radicale con un titolo sconcertante: “Anche gli innocenti vanno in carcere”. Come fa una constatazione così ovvia a diventare un titolo? Naturalmente, a indurre a ripetere quell’ovvietà c’era stato lo sprovveduto messo a capo del governo della giustizia in Italia: “Gli innocenti non finiscono in carcere”, aveva detto. Poi, per rimediare, aveva peggiorato. Il tocco finale era venuto dall’appuntato Travaglio: non è grave che gli innocenti vadano in carcere. Nell’incontro indetto dai Radicali, hanno raccontato di sé persone alla fine scagionate e risarcite, che dopo sentenze che si erano pretese a loro volta definitive avevano trascorso venti o più anni in galera. E c’era, inesorabile, il ricordo di Enzo Tortora.

 

Tra il 1992 e il 2018, 27 mila persone sono state risarcite dallo stato per essere state detenute ingiustamente. L’Italia è il paese in cui l’ordine giudiziario è rappresentato formalmente e anche sostanzialmente, cioè nelle televisioni e in tutto ciò che fa spettacolo, da un magistrato comicamente detto sottile, il quale sostiene la presunzione di colpevolezza universale (fino a prova contraria, e neanche), brilla di una casistica da far impallidire fra Timoteo – per separarsi dalla moglie conviene più ammazzarla che avviare le pratiche di divorzio – e che, con l’autorità che gli viene dalla carica e dall’annosa esperienza, garantisce che in Italia non si va in carcere con condanne inferiori ai quattro anni. Peccato che: “Al 13 gennaio risultano 23.024 detenuti che stanno scontando una pena inferiore ai tre anni. Sono ben 1.572 le persone detenute condannate a una pena inferiore a un anno. Sono 3.206 le persone detenute che hanno una pena da uno a due anni”. (Dati illustrati dal Collegio del Garante nazionale). Nel Rapporto di Antigone, fine gennaio, la cifra è diversa, non la sostanza: i detenuti che stanno scontando una pena residua inferiore ai tre anni sono 19 mila. Davigo è un ripetitore tv: ribadisce tal quali i suoi strafalcioni nel volgere delle epoche, imperterrito e senza contraddittori. Ora gli avvocati penalisti, che fanno di tutto da anni senza riuscire a farsi notare, hanno toccato qualche prima o seconda pagina, ammanettati. Più austeramente, magistrati dei più autorevoli hanno evocato l’insensatezza pratica e l’incostituzionalità giuridica dell’attacco alla prescrizione. Italiani, ancora uno sforzo.

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