Il record
I brividi di onnipotenza di una star in ascesa: l’America di Taylor Swift
Un'artista che travalica la musica e si insedia nel cuore della cultura popolare americana, sfociando nella Swift-mania trasversale. Ai Grammy si è aggiudicata per la quarta volta il premio al miglior album dell’anno con “Midnights” ed è la regina indiscussa dell’edizione degli Oscar della musica
Taylor Swift non si ferma e buca la cosmosfera del pop. Ai Grammy si aggiudica per la quarta volta il premio al miglior album dell’anno con “Midnights” ed è la regina indiscussa dell’edizione degli Oscar della musica appena andata in scena a L.A., alla guida del plotone di star femminili che hanno sancito che il cielo della musica di consumo oggi è rosa intenso, col contributo di Miley Cyrus (migliore produzione per “Flowers”), Billie Eilish, (migliore canzone con “What Was I Made For?”, dalla soundtrack di “Barbie”) ma anche di veterane come Tracy Chapman, Céline Dion e Joni Mitchell, riemerse dal passato malconce ma salutate da affetto, commozione e gloria.
Adesso Taylor però gioca in un campionato a parte, che travalica la musica e si insedia nel cuore della cultura popolare americana, sfociando nella Swift-mania trasversale e inaugurando una conquista planetaria che rischia di far impallidire quella che fu di Madonna. Ma se quest’ultima era sinonimo di trasgressione e liberazione, lei incarna la consapevolezza, il pink power e soprattutto le sfaccettate virtù dell’eterna ragazza della porta accanto, che si fidanza con un monumentale campione di football, Travis Kelce, (il quale a sua volta approda subito al Superbowl) e stranisce l’audience televisiva delle partite dei Kansas City Chiefs allorché le telecamere indugiano su lei in tribuna, più che sulle azioni sul campo. Non c’è niente da fare: Taylor è magnetica, non sbaglia un colpo (ha approfittato del palco dei Grammy per annunciare il nuovo album “ The Tortured Poets Department” in uscita ad aprile, provocando un ingorgo telematico per la moltitudine di prenotazioni) e perfino le sue fragilità (disturbi alimentari in una nazione con seri problemi nutrizionali) diventano materia per editorialisti.
Adesso sta seriamente ragionando sull’opportunità di scendere in campo per supportare la balbettante campagna di Joe Biden per la rielezione: un suo endorsement potrebbe costituire quella che i sociologi chiamano una “nudge”, la spintarella emotiva giusta per spedire a votare la vasta porzione dell’elettorato troppo tiepido per uscire di casa. Un’ascesa irresistibile che, vista da qui, provoca uno strano attrito con la parallela e malinconica parabola calante di Chiara Ferragni, ex-bionda perfetta di casa nostra, colei che trasformava in oro tutto ciò su cui puntava il suo smartphone. Taylor e Chiara, in attimi appena sfalsati, brillano dello stesso splendore, alla confluenza tra estetica, acume e business. Due descrizioni apparentemente cosi complete e desiderabili da sembrare inattaccabili: come l’Italia ammirava le conferenze della Ferragni a Harvard, così ora l’America freme per vedere Taylor cerimoniera della Casa Bianca. Ma sono brividi di onnipotenza che eccitano invidie e scrutini. Lo show di Chiara nella parte dell’angelo caduto è cronaca quotidiana. Taylor colleziona successi, ma c’è un’ombra nel suo sguardo: la ricerca dell’errore è già in corso, a caccia del soft spot destinato a diventare cono d’ombra. Il precipizio dal paradiso è lo spettacolo che non passa mai di moda.