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Sognando l'Eurovision. San Marino è diventata la capitale dei delusi da Sanremo

Enrico Veronese

Mahmood e Blanco potrebbero non essere gli unici italiani che si contenderano l'ESC a Torino. Perché a “Una voce per San Marino” ci saranno un po' di ambiziosi cantanti nostrani pronti a conquistare un posto sul palco del contest europeo

[Aggiornamento del 21 febbraio 2022]

Achille Lauro vince la prima edizione di 'Una Voce per San Marino', aperta a tutti i cantanti "senza limitazioni di cittadinanza e di lingua del brano". Potrà partecipare per il Titano all'Eurovision Song Contest in programma a Torino dal 10 al 14 maggio: 'sfiderà' i 'Brividi' di Mahmood e Blanco, vincitori di Sanremo, dove Lauro con 'Domenica' si è fermato alla 14/a posizione.


  

Bei tempi quando veniva discussa la teoria dell’eterno presente, sintesi del malcelato sconcerto contro il disinteresse per l’avvenire e di un passato che invece non finisce mai di ispirare, e con esso la nostalgia. Gli anni pandemici sono diventati inopinatamente un’accelerazione verso il futuro: niente dura più di 24 ore, manco la gloria, che già è tempo di fissare un nuovo traguardo, forse più importante ma sicuramente lontano settimane, mesi o anni. Ne sanno qualcosa i neo olimpionici di curling, Amos Mosaner e Stefania Constantini, che molti già vedono portare la bandiera italiana ai Giochi di Cortina 2026, come fosse l’obiettivo massimo dopo quello – enorme – raggiunto martedì, e ancora fragrante di diretta.

Così i cantanti in gara alla 72esima edizione del Festival di Sanremo, nelle more tra un impegno promozionale e le prove dei tour, guardano già all’Eurovision Song Contest, in programma dal 10 al 14 maggio prossimi: non solo Mahmood e Blanco, partecipanti di diritto in quanto freschi trionfatori all’Ariston, ma anche alcuni degli esclusi accarezzano l’idea di farne parte, anche a tutti i costi. Il che vale addirittura per certe schegge impazzite dalle scorse edizioni, o da un passato ancora più remoto. Come se vincere Sanremo, di per sé, non contasse più niente e anzi sia una zavorra, se non lo si può spendere in quella sede.

 

La motivazione di fondo sta nella natura stessa della manifestazione continentale: lungi dall’essere (come accadeva una volta) un serio concorso musicale, tarato sopra la qualità e la novità, l’Eurovision Song Contest – che sarà condotto da Laura Pausini, Mika e Alessandro Cattelàn – si configura sempre più come kermesse di trashate ai soli fini televisivi, di trucchi improbabili, acconciature pompose, abiti esilaranti, coreografie equivoche e choc. Oltre che un mercato delle vacche tra nazioni, pronte a riversare consensi e a restituire sgarbi giocando su altri tavoli.

Va da sé che un brano come “Brividi”, delicato ed emozionante, lento e riflessivo, sentimentale e difficile (che ha vinto, anche giustamente, spostando l’asticella di una manifestazione standardizzata da oltre settant’anni), di chance per impressionare platee di grossa grana e modesta cultura autoriale non ne ha poi molte. Anche se esiste il precedente del portoghese Salvador Sobral, che con una sorta di fado moderno ha sbancato l’ESC del 2017, prevalendo sopra ogni genere di eurodance, turbofolk e tamarrate soprattutto dell’est. Per non dire della bella quanto epica “Heroes”, che due anni prima aveva dato il premio alla Svezia di Måns Zelmerlöw, senza eccedere in pacchianerie ruffiane a coprire il solido pop internazionale di partenza.


Per questo, i fan del movimento ballerino consolidatosi non più di una settimana fa in Liguria – dalla Rappresentante di Lista a Dargen d’Amico, da Ditonellapiaga e Rettore a Rkomi, da Gianni Morandi ad Achille Lauro – hanno da subito cominciato a chiedersi se non fosse meglio, con lo sguardo a Torino, la vittoria di qualcosa di più vicino a quello spirito, rispetto ai “Brividi” dei due amici di casa Universal. E qualcuno dei suddetti si è anche impegnato a dichiarare la propria disponibilità a vestire i colori delle enclave (la Repubblica di San Marino e addirittura lo Stato della Città del Vaticano), pur di partecipare alla grancassa che un tempo, con altri crismi, portò fortuna a Gigliola Cinquetti, Alan Sorrenti, Franco Battiato, Alice e Toto Cutugno.

L’ipotesi di scuola, per qualcuno, si è fermata allo scherzo: ad esempio Tananai, simpatica canaglia, twitta di sperare in 24 rinunce e guarda addirittura all’Azerbaigian (come nel mercato delle cittadinanze per giocare nelle nazionali di calcio, da chiedersi se abbia ancora un senso), mentre LRdL sta già raschiando il culo dal testo di “Ciao ciao” per ambire a rappresentare il Vaticano. Altri invece sono passati alle cose formali: i dieci artisti – tra cui otto italiani – in gara a “Una voce per San Marino”, che designerà l’alfiere biancoazzurro, si sfideranno sabato 19 febbraio nel borgo di Dogana, in uno show già tutto esaurito. Aperto il casting ufficiale, vi sguazzano la veterana Ivana Spagna e Valerio Scanu in tutti i luoghi e tutti i laghi, il maestro Alberto Fortis e Tony Cicco voce ‘e Napule (ex Formula 3), fino a carneadi spagnoli, rumeni, turchi e ai portavoce interni, tali Fabry & Labiuse featuring Miodio dalla pronuncia ambivalente. Ma soprattutto Achille Lauro, che la settimana scorsa ha aperto i giochi al Festival dei fiori con “Domenica”, e che rischia seriamente di giocarsi le sue carte al palasport olimpico (corsi e ricorsi) di Torino. Alla faccia dei cieli di perle.

La piccola repubblica appenninica, affacciatasi alla ribalta nelle Olimpiadi di Tokyo grazie alle fucilate di Alessandra Perilli, coopta così gli esterni e fa incetta di possibili exploit, dando accoglienza agli esclusi e riciclando chi, nonostante i ritmi e i bassi unz, non ha sfondato il muro del podio là dove ha sempre contato per il grande pubblico circostante. Pochi si chiedono se (e come mai) conta così tanto l’Eurofestival, che tutti ci si vogliono buttare a pesce anche se non è affar loro. Soprattutto da quando hanno vinto i Måneskin, lanciandosi a livello mondiale nonostante il freno della lingua. Ma sarà un bel giorno quando in Italia cominceremo di nuovo a valorizzare di più ciò che siamo e che abbiamo, anziché agognare timbri effimeri, posticci e carnevaleschi: ciò metterebbe in pace il passato, darebbe un senso al presente e preparerebbe futuri più felici.