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Colloquio col trapper. “Non ho contenuti perché sono vuoto dentro”

Alessandro Luna

Piero Baldini (27 anni) in arte Ketama126: “Roma offre così poche cose moderne e vive che non resta che la droga”

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Roma. Piero Baldini, in arte Ketama126, 27 anni, trasteverino, uno dei maggiori esponenti del genere trap. Gli abbiamo chiesto un’opinione su Roma, sulle ultime generazioni e sulla politica, di cui però lui non parla quasi mai nei suoi testi. “Parlo sempre di droga perché non facciamo altro, non ho contenuti perché sono vuoto dentro”. Così recita una delle sue più famose canzoni.

 

Molti artisti rap o trap adesso nei loro testi parlano di politica, spesso attaccando Salvini. Perché? 

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“Perché tira molto, ma ne parlano sempre in maniera un po’ populista. Però la colpa è della politica stessa: se persino gli esperti sono i primi a usare la retorica populista, cosa ci si aspetta da un rapper? Io non ne parlo mai, ho un pensiero ma evito di dirlo. Va molto anche attaccare Salvini, ma ha senso se proponi qualcosa, che è il problema anche del movimento delle Sardine e della sinistra in generale. I nostri genitori pensavano a migliorare le condizioni dei lavoratori, oggi il lavoro manca e molti ragazzi votano i partiti di destra perché, giuste o sbagliate, indicano cause e soluzioni”.

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Perché tutti gli artisti romani, compreso te, fanno sempre sponda a Milano?

“Perché è lì che stanno le sedi delle major e gli investimenti. Se lavori negli enti pubblici probabilmente finirai a Roma, se lavori nel privato finisci a Milano. Sarebbe bello riportare i soldi dell’industria musicale a Roma perché amo questa città, ci sono cresciuto e vorrei vederla stare meglio. A Roma gli investimenti vengono fatti con soldi pubblici, che finiscono in bandi e vengono mangiati. Ci costruiamo un palazzo e lo lasciamo a metà. Mentre con i privati se investi soldi fai attenzione a che vengano usati bene”.

 

A Roma i ragazzi che fanno nel tempo libero? 

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“Quasi nulla. Io dopo il liceo sono scappato a Milano e poi a Berlino perché qui impazzivo per il troppo tempo libero. La noia mi ha portato sia a pessime esperienze che a cose buone, come la musica. Ma qui c’è un problema di mentalità: se ti dai da fare per gli altri sei considerato uno poco sveglio. Se organizzo una mostra fotografica in piazza i miei amici mi dicono di lasciar perdere, a Milano impazzirebbero. Diventa un’occasione per conoscere gente e fare aperitivo. Qui ognuno è nella sua comitiva, noi ‘se la sentimo calla’ da sempre, c’è poco da fare”.

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Roma è sempre più spesso protagonista della cronaca nera.

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“Lo è sempre stata, queste cose vanno a cicli. Prima l’attenzione era a Napoli perché era uscito Gomorra, ora è uscito Suburra… In Italia facciamo così”.

 

Molti di questi fatti sono legati alla droga. Tu ne parli in maniera molto cruda nei tuoi testi e sui social. 

“Quest’estate un mio amico ha avuto un’overdose da Xanax, un farmaco legale e prescritto dal medico, ed è stato in coma due giorni. Io parlo molto di droghe ma dagli psicofarmaci, che ora vanno tantissimo, mi tengo lontano perché mi spaventano. Le benzodiazepine danno un’astinenza peggiore di quella degli oppiacei. Per l’astinenza di eroina non puoi morire, per quella da benzodiazepine sì. Credo che tra 50-100 anni ne parleranno come noi oggi parliamo dell’eroina”.

 

Che opinione hai di questa generazione, dei millennial?

“Io ho vissuto a cavallo fra l’analogico e il digitale. Ho comprato il primo smartphone a 19 anni per promuovere la mia musica, neanche sapevo cosa fosse Instagram. L’immaginario a cui faccio riferimento nei testi viene dalle mie esperienze e non da Youtube o dai forum. Le nuove generazioni hanno dei vantaggi nell’uso dei social ma sul saper campare non lo so. Sono rincoglioniti dai social e da Instagram, ma noi lo eravamo da altre cose”.

 

Non è un rincoglionimento più democratico? Prima i contenuti li sceglieva Mediaset per te, ora sono personalizzati. 

“Secondo me è più totalitario, perché adesso l’intrattenimento passivo ti perseguita ovunque. Quando ero adolescente non potevi portarti la tv fuori, sull’autobus, a scuola”.

 

Cosa ne pensi della politica giovanile e studentesca?

“Questa generazione ha una coscienza politica maggiore rispetto alla mia. Però molta è apparenza. Mentre prima potevi solo andare in piazza per protestare, oggi hanno l’alternativa di fare un post o un tweet di sostegno. I social visti da fuori sembrano la cosa più libertaria che ci sia, ma è un’illusione. Però credo nella politica studentesca, io ero molto attivo al liceo e anche se a volte è una scusa per non andare a scuola, crea aggregazione sociale e chi va lì per marinare poi magari si interessa ai problemi del paese. Però il rapporto tra giovani e politica è cambiato molto”.

 

E invece com'è cambiato il rapporto giovani e droghe?

“Le droghe da rave facevano male, ma almeno erano comunitarie, univano le persone. Oggi stanno tornando le droghe ‘da cameretta’, per sopportare depressione, solitudine e ansia. E tutto ciò si ricollega sia alla scarsa offerta culturale di Roma che al discorso dei social media, che causano molta ansia sociale. La droga sta cambiando nello stesso senso della musica: oggi la si ascolta per lo più da soli, con le cuffiette o in camera, senza condividerla con nessuno, se non sui social”.

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