Essere o non essere Massimo Ranieri
"Le rose non si usano più” di Jacopo Cirillo non è un diario è un insieme di ricordi e di sensazioni, di date e di eventi per capire e scoprire l’uomo, l’artista e il mito
Da Milano a Roma in treno. Jacopo Cirillo, autore e collaboratore di Topolino, ghost writer di Paperinik, fondatore di Finzioni e scrittore, si siede al suo posto e comincia a ricordare. È in viaggio, premette, per incontrare Massimo Ranieri, il suo mito, l’uomo a cui, forse, è più affezionato da quando era bambino. Lo deve intervistare.
Tutto il libro, “Le rose non si usano più”, un mezzo verso di “Rose rosse” di Ranieri, è incentrato su questo. Sull’attesa. Su “che cosa gli chiederò?”. Non è il tipico diario, ma quasi. L’esperienza umana di chi scrive si unisce all’esperienza trascendentale di chi ama, segue, apprezza. Lo scrittore e il fan insieme. Una combo micidiale. Non nuova, perché di certe riproposizioni se ne trovano ovunque anche nel giornalismo contemporaneo, ma piacevole. Fresca. Talvolta, forse, troppo indulgente.
Chi è Massimo Ranieri, dove nasce, di chi è figlio. La Napoli delle sue canzoni e quell’altra, meno luminosa e promettente, della sua infanzia. In alcuni momenti, Cirillo esagera. Ma è normale: tutte le lettere d’amore, specie se così lunghe e sentite, sono ricche di esagerazioni. E lui, di Massimo Ranieri, è innamorato: non può farne a meno. “E tu da grande che cosa vuoi fare?”, gli chiedevano i parenti, i grandi delle tavolate della domenica. Lui tentennava, ci pensava e poi alla fine, tutto d’un fiato, diceva: “Massimoranieri!”
Il viaggio da Milano a Roma, quello a cui accennavamo prima, diventa una metafora - come, del resto, lo sono tutti i viaggi. E nelle tre ore e mezza che il treno ci mette per raggiungere la capitale italiana, Cirillo rivive la sua personalissima crociata, si fa conti, s'appunta domande, si addentra tra storie e storielle di Massimo Ranieri, ne sceglie qualcuna, ne scarta qualcun'altra, e ci rende partecipi, a noialtri, i lettori, della sua maratona sentimentale.
Nel fanatismo dell’autore, si incontrano inediti, storie di cui si era completamente persa la memoria; e poi si scoprono fatti e antefatti, si capisce qualcosa di più di lui, di Cirillo, e anche di Massimo Ranieri. Non è una biografia, questa. Decisamente non è un’autobiografia, perché l’oggetto – o il soggetto – del racconto non è mai presente in prima persona. E però c’è. È difficile da spiegare il perché (o meglio: non è così facile come, invece, potrebbe sembrare) ma Cirillo riesce a fare le scelte giuste perché quello che leggiamo, alla fine, non sia solo il vademecum del fan, l’adorazione su carta del sommo conoscitore del cantante – e attore e intrattenitore – napoletano. Ma pure (e anzi, forse soprattutto) il profilo dell’artista, una serie di date e di momenti compressi nella grandezza ridicola di un volumetto tascabile, rosso e azzurro, metà mito e metà storia. Ed è bello proprio per questo: perché siamo trascinati in due esperienze. Una, primaria, di chi legge. L’altra, secondaria ma ugualmente importante, di chi condivide.