Nuove frontiere

Ecco come la pratica del drop ha cambiato il mondo della moda

Costantino della Gherardesca

L'operazione consiste nel fissare un’ora precisa per la messa in vendita di un capo o di un’intera collezione. Il fatto che un prodotto sia disponibile in pochissimi esemplari – e solo per un brevissimo istante – fa sì che diventi immediatamente un prezioso oggetto da collezione prima ancora di esistere

Qualche giorno fa ho passato una notte in bianco. No, niente stravizi. Ero solo, a casa mia, immobile davanti al mio portatile. Sfidando il sonno, ho aspettato che a Tokyo scattassero le ore 12 (mentre da noi erano le 5 del mattino), perché in quel preciso istante il marchio di moda giapponese Wacko Maria avrebbe messo in vendita sul suo sito tre splendide camicie a maniche corte a pois. Una blu cenere, una anguria e una giallina, ciascuna al costo di poco meno di 200 euro. Alle ore 5.02, quella blu cenere era già esaurita. Colto dalla disperazione, mi sono precipitato a mettere nel carrello quella anguria e quella giallina e, un attimo dopo, sono crollato dalla stanchezza, soddisfatto come un cacciatore col carniere pieno di lepri e fagiani.


Solo al risveglio mi sono reso conto che, da bravo fesso, avevo messo le camicie nel carrello ma non le avevo acquistate. In poche parole, ero rimasto sveglio fino all’alba per niente: le tre camicie erano già tutte esaurite e, nel giro di poche ore, alcuni esemplari sarebbero rispuntati su siti specializzati nel rimettere in vendita capi rarissimi a prezzi immediatamente maggiorati, quasi una versione modaiola del secondary market nel mondo dell’arte. Dai 200 euro iniziali, l’indomani quelle tre camicette sarebbero state rivendute a più di 500 euro al pezzo.


Stravolto da questa grave perdita e dalla crudeltà capitalista del mondo della moda, ho chiamato la mia analista.
“Dimenticati quelle camicie!” mi ha detto.
“Ma sono tanto carine…”.
“Erano carine prima che te le soffiassero sotto il naso. Ora sono solo un problema. Lo capisci che per te queste non sono solo delle camicie? Sono un pensiero intrusivo. E i pensieri intrusivi ti fanno venire la melanconia. Hai bisogno di altra melanconia nella tua vita?”.
La risposta, ovviamente, era no, quindi sono tristemente tornato alla mia vita scamiciata, chiedendomi se avesse senso continuare a vivere senza il tocco gentile del rayon giapponese sulla mia pelle. Per scacciare la malinconia, ho cominciato a chiedermi: “Ma cos’è cambiato nel mondo della moda?”.


La pratica del drop, cioè fissare un’ora precisa per la messa in vendita di un capo o di un’intera collezione, non è certo una novità, in particolare nel campo dello streetwear, dove è da sempre parte integrante del modello di marketing di marchi ormai storici come Supreme. Il fatto che un prodotto sia disponibile in pochissimi esemplari – e solo per un brevissimo istante – fa sì che quello stesso prodotto diventi immediatamente un prezioso oggetto da collezione prima ancora di esistere.


Negli ultimi anni, però, la moda è cambiata e con lei il suo pubblico. Se un tempo la logica del drop cercava di attrarre clienti giovani, ormai davanti al portatile alle 5 del mattino ci sono anche vecchi letterati della moda come il sottoscritto, che svolazzano sugli online store come falene attratte dai bagliori notturni. E se non riusciamo ad accaparrarci il capo del momento, proviamo a recuperarlo (a prezzo più che raddoppiato) per vie traverse, cioè su siti come Grailed, StockX o – per i più esperti – From Japan, vere e proprie piazze per i bagarini della moda. Nulla a che vedere con negozi come quello di Didier Ludot a Parigi, dove puoi andare a comprare degli Yves Saint Laurent vintage. Il ciclo di compravendita che si instaura tra il marchio di moda che fa il drop e i siti che ho citato è mille volte più veloce e – soprattutto – non è un fenomeno marginale, come può esserlo un negozio di libri usati in confronto a Amazon, ma è la logica fondante di marchi di moda estremamente interessanti come Wacko Maria. Questo perché in Giappone sanno decodificare, smontare e rimontare la cultura occidentale meglio di qualsiasi strutturalista postdurkheimiano.
Per esempio, è proprio in Giappone che lo streetwear, cioè il fenomeno più pervasivo nella moda degli ultimi trent’anni, ha trovato i suoi interpreti più intelligenti e visionari, come dimostrano appunto i casi di Neighborhood, WTAPS e – in particolare – Wacko Maria, marchi dei quali parlerò più approfonditamente (sempre su queste pagine) la prossima settimana.

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