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Come vestirebbe oggi Lady Macbeth? I panni genderless della femme fatale

Antonio Mancinelli

La dominatrice senza nome. Ne parlano Rick Owens, Giampiero Arcese e un manipolo di studiosi. Guardando a un punto piuttosto trascurato del testo: il gioco dello scambio in una coppia di cui non siamo nemmeno sicuri che sia tale. E non una sola persona

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"Look like the innocent flower, but be the serpent under it", atto I, scena quinta. È uno dei saggi consigli che il prodigioso Shakespeare fa pronunciare a Lady Macbeth, ambiziosa e malignamente persuasiva: lo rivolge al consorte di cui – come darle torto? - teme che la brama di potere non sia all’altezza del suo coraggio, impegnato com’è a fare quello che da sempre tentano di realizzare i politici: prendere decisioni che uniscano il bene personale a quello pubblico, rendendo a se stessi e agli altri la vita impossibile. Però il richiamo a spire rettiliane, petali e foglie da foresta intossicata richiama alla mente certi decori di charme curvilineo e inquietante in linea con l’estetica di Alessandro Michele per Gucci, maison che tra l’altro è finita per l’ennesima volta sotto i riflettori per l’imminente uscita del film “House of Gucci’.

 

Forse la Lady scozzese approverebbe le mise della sua epigona Patrizia Reggiani, interpretata sullo schermo da un’altra Lady più casareccia, Stefani Joanne Angelina Germanotta, in arte Lady Gaga. A giudicare dal film, che abbiamo visto, la musa shakespeariana e in seguito verdiana la giudicherebbe eccessiva: un po’ come l’embargo che abbiamo firmato. Certo, meglio Patrizia Reggiani di altre sue antesignane o seguaci come la saponificatrice Leonarda Cianciulli o Rosa moglie di Olindo, ma Lady Macbeth sa di avere un vantaggio sulle altre. Ovvero, essere al centro di una situazione particolarmente eccitante: è una fantasia attorno a un nucleo scelto come negativo e affascinante, che ci cattura per la sua estatica consacrazione al potere, la devozione irreparabile all’esercizio della tirannia che non va tanto per il sottile quanto a fine e mezzi. Ai nostri giorni sarebbe un’influencer dell’avidità, una testimonial della cupidigia, una ambassador del politicamente scorretto, perché lei sa quello che vuole ma soprattutto sa come ottenerlo. Dunque, troverebbe terribilmente noioso e anche un po’ umiliante un certo neo-femminismo, dato che quelle come lei sono capaci di fare cat calling a un fustacchione prima che accada il contrario.

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Invece di calarsi nella parte della femme fatale, ruberebbe la scena prima di tutto con il suo corpo: “Se Lady Macbeth vivesse ai nostri giorni, la immagino reduce da sedute in palestra, pilates, massaggi”, sostiene lo stilista Rick Owens, per il quale “working out is modern couture”, cioè ingegnarsi per possedere un fisico perfetto è la nuova vera alta moda. “La penso come l’apparizione statuaria di Angelina Jolie all’ultimo Festival di Roma, con un abito di Versace drappeggiato sul fisico da dea. Una scelta che, anche togliendo la sua presenza come interprete della guerriera Thena nel blockbuster “Eternals”, restituisce l’idea di una femminilità forte, tosta, senza paura né di mostrarsi, né di essere una che indossa abiti a caso pur potendosi permettere di cambiare continuamente”, riflette Barbara Trebitsch, direttore didattico all’Accademia di Costume e Moda, da cui sono usciti sia Michele sia il costumista del Macbeth scaligero, Gianluca Falaschi. Del resto, dopo i mesti tailleur pantaloni di Hillary Clinton o le giacche stazzonate di Angela Merkel, il nuovo “power suit” - l’abito femminile del potere - ancora non ha trovato una sua normalizzazione, a meno di non finire nei tailleurini perbene della presidente dell’Unione europea Ursula Von der Leyen o nelle Converse della vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris: gli uomini, nella storia, hanno avuto armature, corazze, doppiopetti e cappotti blu e soprattutto molto tempo e prepotenza per far capire di poter entrare nella stanza dei bottoni.

   

 

Pericolosamente elegante ed elegantemente pericolosa. Su questo punto ci si trova tutti d’accordo: per Lady Macbeth solo abiti su misura e niente loghi visibili. Il suo unico marchio è la pericolosità: Lady Macbeth è pericolosa perché ha il controllo della sua sessualità. È pericolosa perché non si conforma ai ruoli che le sono assegnati, tanto da mettere in discussione la virilità del marito. È pericolosa perché dominante in tutto, e quindi anche nel gusto: i vestiti che indossa, prima di essere firmati, sono suoi. Estranea al consumo generazionale che vuole un abito specifico per ogni età, s’insinuerebbe dentro i body corsettati e scosciati, talvolta indossati su collant in pelle stretch di Casey Cadwallader, designer americano che ha riacceso la fiamma erotica delle creazioni supersexy di Manfred Thierry Mugler.

 

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Certo, poi c’è il pentimento, le mani sporche di sangue, la pazzia, la discesa nel mélo: per il giornalista e critico d’arte e moda Riccardo Conti, a questo punto la Lady odierna potrebbe vestire «John Galliano, perché lui stesso incarna bene il personaggio e alcune simbologie del dramma. In fondo anche Galliano convive con una macchia impossibile da pulire (nel marzo 2011, venne registrato al bar Perle di Parigi mentre pronunciava frasi antisemite e insultava un’avventrice per il suo aspetto. Lvmh lo licenziò in tronco ndr) e la sua carriera ha subìto una battuta d’arresto prima del rehab, dell’espiazione e della nomina a direttore creativo di Margiela ». Il designer e storico della moda Giampiero Arcese, invece, immagina «Lady Macbeth dei nostri giorni, meneghina, come una donna che non ama le grandi firme perché teme che offuschino la sua dirompente personalità. Per questo ritiene di essere più a suo agio con dei puzzle di marchi sconosciuti ai più, celandosi talvolta dietro la bandiera green e dell’opportunità di farne storytelling. Cura il look come strumento di potere, ed è romantica nel senso primigenio del termine, vive di pulsioni gotiche e punk che la spingerebbero verso designer come Molly Goddard o Simone Rocha, che soddisfa poi con l’acquisto di calze a disegni tartan o argyle, da comprare alla Rinascente: a lei mixare l’alto e basso non dispiace per niente, perché in fondo lo stile non è questione di prezzo - e questo lo sa bene e se ne vanta». Molly Goddard e Simone Rocha sono due stiliste inglesi: la prima disegna perturbanti di abiti in tulle da bambina cresciuta in fretta e presentati in passerella come uniformi ideali per adulte e potenziali assassine seriali; l’altra lavora, con i suoi grandi abiti a ruota in raso nero, sull’idea di un’obliqua dolcezza sospesa tra cupezza e solennità.

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C’è dell’altro: nelle fiction, pochissime altre coppie sono così unite da essere simbiotiche. «In Macbeth e in Lady Macbeth desiderio di potere e desiderio di simbiosi coincidono: il sogno di regalità prende forma in loro in due modi completamente diversi, ma quasi subito viene formulato da entrambi come soddisfacimento del desiderio dell’altro, come necessità di essere “partner of greatness”. Fino ad arrivare a un intrico magmatico in cui le due identità perdono i rispettivi confini», scrive la studiosa Tiziana De Rogatis. Macbeth deve condividere la volontà omicida di Lady Macbeth, perché distaccarsi dal desiderio di lei significa negare la propria mascolinità. A sua volta, Lady Macbeth deve trasformarsi in figura implacabile di morte, perché solo così può far emergere la volontà di potenza di Macbeth. Insomma, se fossero qui tra noi, potrebbero benissimo interpretare quella propensione estetica all’indistinzione di genere, ovvero il famigerato genderless. Gli obiettivi dell’una e dell’altro sono talmente compenetrati da far sì che si possano scambiare scettri, corone, mantelli, aspirazioni e kilt, oggi in gran voga per giovani ambosessi ma non per forza scozzesi: si sono evoluti come grandi gonne a pieghe piatte che stanno bene a uomini, donne e a ogni sfumatura di orientamento sessuale. Per semplificare: più appesantita la coscienza, più alleggerito il guardaroba. Che Lady Macbeth presti a suo marito, oltre che un po’ di fegato, anche i propri vestiti, potrebbe essere un’idea per raggiungere pari opportunità anche negli orrori. Chissà, magari sarebbero contenti anche i sostenitori della “schwa”.

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