Siamo vissuti qui dal giorno in cui siamo nati
Andreas Moster
Il Saggiatore, 200 pp., 21 euro
Ragazze che “non hanno niente da fare”, la cui “noia sta sospesa nell’aria pesante come un temporale”. C’è molto del Cosmo di Gombrowicz nell’opera prima del tedesco Andreas Moster: la noia da cui nasce tutto, l’attrazione fisica e lo sfrigolare del desiderio che passa quasi sempre dagli occhi e si fissa sui dettagli. “La bocca era calda e umida, un nido orlato di mucose. Il suo dito si posizionò sulla carne soffice del palato, e lui avvertì la prossimità dell’ugula, i tubicini retrostanti diretti in profondità… Un luogo che ronza, privo di gravità”. Ai nonsense del polacco, Moster preferisce un linguaggio metaforico che non sublima né esaspera la tragedia quotidiana, ma le dà forma: “La risata di mio padre ha diviso mia madre in due parti, e lui l’ha spinta in camera da letto senza prima riunirle. La mattina dopo l’incrinatura era ancora visibile. Io ho tentato di dire qualcosa a mia madre, ma lo smembramento del cervello fa sì che per lei le parole siano tutte uguali”. Quello di Moster è un tentativo di spostare i confini del romanzo un po’ più in là, in tempi in cui la letteratura è incancrenita su un realismo che le rende difficile competere con Netflix & co., che le loro specificità stilistiche le sanno invece usare al meglio. L’espressionismo della sua scrittura fa ben sperare nella vitalità della letteratura, quella capace di spingere la lingua là dove nessun’altra narrazione la può portare.
SIAMO VISSUTI QUI DAL GIORNO IN CUI SIAMO NATI
Andreas Moster
Il Saggiatore, 200 pp., 21 euro