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La lunga notte di Adele in cucina

Giulia Ciarapica

Livia Aymonino, Giunti, 416 pp., 16 euro

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Diceva Daniel Pennac che “in cucina funziona come nelle più belle opere d’arte: non si sa niente di un piatto fintanto che si ignora l’intenzione che l’ha fatto nascere”, e allora partiamo da qui, dalle intenzioni, ché il romanzo ricettario e viceversa di Livia Aymonino La lunga notte di Adele in cucina ha tutta l’aria di un viaggio a ritroso nel tempo, con l’obiettivo di ripescare dal fondo della memoria i ricordi di una vita e soprattutto di un’intera generazione, quella che oggi ha, su per giù, circa sessant’anni.

 
Adele, protagonista e voce narrante del libro, nel corso di un’intensa nottata passata tra i fornelli, in quella che potremmo definire la sua “stanza tutta per sé”, ripercorre il cammino che l’ha portata a essere quello che è oggi, una donna che si sta approssimando alla soglia della terza età ma che forse non è così pronta a tuffarsi nella nuova èra, lasciandosi alle spalle gli anni salienti del secondo Novecento. Tutto ha inizio con la ricetta dei biscotti al cioccolato e fior di sale, di cui non si discute l’indubbia felicità provocata dal gusto: Adele si sveglia di botto, un sogno terribile l’ha costretta ad alzarsi e a fiondarsi in cucina, inforcare il grembiule, prendere burro, uova, farina e cioccolato e iniziare a preparare l’impasto per i biscotti.

 
Adele è la studentessa del Rione Monti che va al Torquato Tasso, il liceo “più eversivo e conformista, glorioso e spocchioso” di Roma, ed è sempre lei quella che poi si trasferisce per un bel po’ in America, dove fa la baby sitter e se ne va a zonzo in Giamaica a bordo di una Land Rover, per poi tornare in Italia, per la precisione a Milano, alla sede Rai progettata da Giò Ponti e Nino Bertolaia nel 1939 e inaugurata nel 1952. Adele è figlia di una colta famiglia borghese dove la contraddittorietà di eleganza e trasandatezza, di perbenismo e trasgressione – a cui, tuttavia, la nostra eroina si è sempre ribellata – la fa da padrona: “a casa della mamma si parlava di cinema e di fotografia, di scrittori, di cortometraggi e di poesia, di musica”, il cibo, lì, è solo un pretesto per sedersi a tavola tutti insieme, ma per Adele, nel tempo, si trasformerà in qualcosa di più. La cucina diventa il luogo magico in cui (ri)scoprirsi, (ri)assaporarsi, e perché no anche difendersi dagli attacchi esterni, è il rifugio e al contempo il luogo attraverso cui esplorare il mondo, viaggiare ed esporsi ai colpi della memoria, del passato.

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Le ricette, che scandiscono il tempo della vita di Adele, nonché le sue emozioni, delineano anche una personalità forte, volitiva eppure emotivamente delicata; la vita, ci insegna l’autrice, è come la cucina: è creatività, libertà di espressione, ma è anche disciplina e ordine (per fare un esempio: Luigi Biasetto non ha forse detto che la pasticceria è una scienza esatta?).
I ricordi dei giorni newyorchesi si mescolano agli “intricati e sventolanti anni Settanta”, quei decenni difficili ed esuberanti in cui le ragazze cambiano volto, e anche la bambina che passeggiava su per il Gianicolo, la ragazza in minigonna che tornerà dagli States nella ridente metropoli milanese, anche lei è diversa, una eterna ventenne che ha sempre racchiuso dentro di sé il fascino dell’età matura.

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La lunga notte di Adele in cucina racconta la storia di una generazione attraverso il racconto di una storia singola, quella di una donna che soltanto in e grazie alla cucina riesce a trovare il bandolo della matassa dei giorni passati e forse anche di quelli futuri. E’ la battaglia dei ricordi, un corpo a corpo con se stessi, con i rimorsi, i rimpianti e con le occasioni prese al volo.

 

LA LUNGA NOTTE DI ADELE IN CUCINA
Livia Aymonino
Giunti, 416 pp., 16 euro

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