Carciofi alla giudia
di Elisabetta Fiorito, Mondadori, 207 pp., 18 euro
Il legame fra David Fellus, ebreo romano di origine tripolina, e Rosamaria Cecchiarelli, di tradizionale famiglia cattolica, è esposto a tutte le intemperie della vita quotidiana. Lei non è più giovanissima; si era ormai rassegnata a restare zitella, quando in extremis è rimasta incinta di lui, ex compagno di scuola rincontrato dopo tanti anni.
La vita dei Cecchiarelli è però anche segnata da un grande dolore. Valerio, il fratello di Rosamaria, è scomparso nel nulla, tutto lascia pensare che si sia suicidato per sfuggire alla vergogna e ai debiti causati dal tracollo finanziario dell’azienda di famiglia. L’anziana madre non si rassegna, sogna che il figlio è nascosto lontano e inventa di continuo nuovi possibili nascondigli in cui Valerio potrebbe essersi rifugiato. Anche David, del resto, ha un passato che ritorna, lo avvolge, lo riconduce alle sue radici come un’irresistibile forza di gravità. Carciofi alla giudìa è un romanzo divertente e leggiadro, ricco di umorismo ebraico e di sarcasmo romanesco. Quasi un ricettario di cucina, pieno zeppo di golosità gastronomiche, in cui intere pagine sono dedicate alla scrupolosa preparazione di prelibate pietanze, piatti che richiedono cura, ricerca, pazienza e pignoleria oltre ogni limite. L’abilità letteraria di Elisabetta Fiorito si manifesta in una particolare capacità di coniugare il dramma della scomparsa di Valerio con l’operosa quotidianità delle due famiglie allargate. Il rapporto fra la rigorosa ortodossia ebraica e la spensieratezza dei Gentili è descritto con ironia e leggerezza, in una continua tensione fra pregiudizio e dissacrazione. Il rapporto difficile e complesso fra occidente secolarizzato e morale ebraica non porta necessariamente a un’antitesi. Il dolore si stempera nella malinconia e la vita riprende il suo insopprimibile cammino.
CARCIOFI ALLA GIUDIA
Elisabetta Fiorito
Mondadori, 207 pp., 18 euro