La lancia di Longino
di Louis de Wohl, Bur, 468 pp., 13 euro
Qui c’è il racconto di un uomo comune, cui il destino – la provvidenza – ha concesso il regalo più ricco: non oro né onori,
E’ la storia dell’umanità, di tutti e di ciascuno, il dispiegarsi di una trama in cui le voci nel dramma sono molteplici, ognuna con il proprio bagaglio, ognuna atta a rappresentare singoli personaggi di un racconto che, via via, si fa corale, e diventa la Storia, quella per la quale esistono un prima e un dopo. A Longino, quest’uomo apparentemente scialbo, senza potere né gloria per i canoni della mondanità politica e sociale della Roma imperiale, e quindi di sempre, uno specialista come il tedesco Louis de Wohl ha dedicato un romanzo storico travolgente. Una di quelle piéce che non ti lasciano fino all’ultima riga. Perché sì, siamo tutti un po’ Longino. Incapsulati in un ruolo che ottunde e impedisce di vedere ciò che è lì, presente. E’ il locus prediletto dove si annida il tradimento, ovvero lo scarto tra desiderio personale, e riconoscimento del reale che sopravviene quando scatta la morsa della schiavitù: di un pregiudizio, di un modo di essere, di una speranza rimasta insoddisfatta. Chi non ha mai tradito? Un’amicizia, un amore, un ideale, un’aspettativa. Alla fine, è tutto un problema di libertà. Quella libertà con la quale ciascun protagonista mette alla prova se stesso nel rispondere alla domanda più assoluta e potente mai formulata: quell’uomo è veramente l’atteso, il figlio di Dio?
C’è Barabba – con i tanti fautori della giustizia terrena – il capopopolo oggetto dello scambio con Gesù dopo l’Ecce homo pilatesco, che guida il “partito della libertà” (guarda caso), disposto a cedere lo scettro solo a patto che gli venga garantito, da altri, che “quello” è veramente il Re Messia prossimo vincitore dei romani. E Pilato, in mezzo al guado, che rimane immobile davanti alla verità. Ci sono i farisei, duri di cuore perché tutori della legge delle regole e del moralismo ipocrita. Ci sono i membri del sinedrio, e con loro Caifa, il sommo sacerdote, che semplicemente non possono credere, nemmeno all’evidenza, perché “questo sconvolge tutto”: meglio vendere la propria autorità all’“odiata” Roma, che essere travolti; meglio presidiare il sepolcro dove “quell’impostore” è sepolto, che rischiare la risurrezione, anche se si è certi che sia roba da ingenui e superstiziosi. C’è Giuda, naturalmente, lui “saprebbe” cosa fare: ma, incapace di liberarsi dalla camicia di forza della speranza delusa che Gesù aveva mosso in lui, diventa il traditore per eccellenza. Ci sono i semplici, Lazzaro, l’adultera Naomi, Maria Maddalena, che capisce prima di tutti, il capo centurione Abenadar.
E Longino, che fa l’unica cosa razionale: va a vedere. E capisce che Cristo è venuto anche per lui, il soldato che gli ha spaccato il costato. Ha perdonato anche lui, facendolo suo testimone.
LA LANCIA DI LONGINO
Louis de Wohl
Bur, 468 pp., 13 euro