La fogliata del sabato
Pier Vittorio Tondelli
Bompiani, 364 pp., 14 euro
Un giornalista giovane e già sufficientemente preda della propria ambizione professionale, spedito a fare il viaggio e il lavoro che l’autore non fece mai; una cronista di provincia bella come uno schianto e regina del suo piccolo mondo e dei suoi molti segreti; un politico tormentato da Dio e dai rimorsi, quasi quanto lo scrittore omosessuale è tormentato dai ricordi e dall’assenza dell’amore vero; una ragazzina tedesca in fuga e una sorella in cerca: di lei, ma più che altro di sé; un sassofonista che attraversa le notti umide di noia degli altri; aspiranti registi squattrinati e scombinati; artistucoli mantenuti; un portiere d’albergo dal cuore nero come le sue notti. E tutto il contorno di turisti diurni e animali notturni che si alternano come nei turni di fabbrica. Sullo sfondo, il mescolarsi di trasgressione soldi sesso baraccone che fanno l’affresco disperante e sovraccarico di quello che, già allora, i giornalisti che non scrivevano altrettanto bene chiamavano “divertimentificio”. “Voglio che Rimini sia come Hollywood, come Nashville cioè un luogo del mio immaginario dove i sogni si buttano a mare”, diceva lo scrittore del suo nuovo romanzo, ancora in cantiere. “C’era dunque qualcosa di intimamente artificiale in ciò che aveva intorno, totalmente predisposto quasi come quel caldo opprimente e animalesco che fiutava nell’aria immobile della stazione”. Attribuita agli occhi di un personaggio appena sceso dal treno, la prima (ma definitiva) impressione di Rimini alla metà degli anni 80 è ovviamente tutta dell’autore. E per sua stessa ammissione, non bastasse l’evidenza della scrittura appena terminata, nella nota fuori testo in fondo al libro: “Nella primavera del 1981, il direttore di un quotidiano (…) mi propose di trascorrere due mesi sulla Riviera adriatica per lavorare a un inserto speciale. Non partii mai. LEGGI LA RECENSIONE COMPLETA
Bruce Levine
Einaudi, 423 pp., 32 euro
Nel 1860, circa quattro milioni di esseri umani che risiedevano nel sud degli Stati Uniti vivevano in condizioni di schiavitù: posseduti per diritto da altri uomini. Costituivano un terzo dell’intera popolazione degli stati meridionali: una cifra stratosferica, fonte di prosperità economica e politica per una ristretta cerchia di famiglie (bianche) sudiste. Nessuno, però, poteva prevedere che nel giro di cinque anni la guerra civile avrebbe restituito libertà e dignità a questa ingente massa di persone, trasformando la società americana nelle sue fondamenta più profonde. A raccontare questa rivoluzione ci pensa, in maniera straordinariamente analitica, dettagliata e documentata, lo storico Bruce Levine in questo volume, pubblicato due anni fa nella sua versione originale e ora tradotto in italiano da Einaudi. La svolta prese avvio proprio nel 1860, con l’elezione alla Casa Bianca dell’antischiavista Abramo Lincoln. Intimoriti dall’ascesa di Lincoln e del Partito repubblicano, che denunciavano lo schiavismo e minacciavano di abolirlo, tredici stati del sud proclamarono la secessione, dando vita a una Confederazione e provocando la reazione militare del presidente. La guerra civile che ne derivò (1861-1865) seguì secondo Levine una traiettoria analoga a quella delle grandi rivoluzioni che hanno segnato la storia della civiltà contemporanea. In origine, infatti, scrive lo storico americano, Abramo Lincoln “andò in guerra non per trasformare la società del sud, ma per costringere gli stati schiavisti che l’avevano abbandonata a ritornare nell’Unione. LEGGI LA RECENSIONE COMPLETA
Ferenc Karinthy
Adelphi, 221 pp., 18 euro
Trovarsi in un paese diverso dal proprio, in una città che non è quella verso cui si era diretti e avere intorno a sé solo gente che parla una lingua incomprensibile e che fa di tutto pur di non aiutarti. Se poi la cosa succede al professor Budai, un esperto linguista che parla inglese, tedesco, russo, francese e molti altri idiomi – compreso il finlandese – ma non quella lingua lì, la faccenda si complica e si fa sicuramente più intrigante. Perché proprio a lui? Tutto è nato da una svista, una di quelle che può accadere a chiunque frequenti aeroporti abbastanza spesso: sbagliare uscita. Le conseguenze, si sa, sono quasi sempre spiacevoli, ma nel suo caso sono tragicomiche. Si rende conto di non essere arrivato a Helsinki, dove aveva in programma una relazione, ma in un’altra città ignota dove non può parlare con nessuno ma soltanto ascoltare risposte in una lingua fatta di suoni e consonanti, un alfabeto che ricorda quello delle rune gotiche e i caratteri cuneiformi dei Sumeri. Passano i giorni, ma continua a essere circondato da parole e da scritte misteriose che sono ovunque, una cosa inaccettabile per lui che ha dedicato diversi anni della sua vita a ricerche etimologiche e a un attento lavoro scientifico in merito. Anche quando esce dall’hotel in cui alloggia, non capisce dove si trovi: potrebbe essere in Europa, in Africa, in Asia o in qualsiasi altro continente sconosciuto. Ci sono solo pedoni e veicoli in gran quantità, ci sono rumori, c’è caos e nessuno gli dà retta perché sono tutti presi dal loro quotidiano frenetico. LEGGI LA RECENSIONE COMPLETA
ULTIMI VIAGGI NELL’ITALIA PERDUTA – di Raffaele La Capria, Bompiani, 188 pp., 13 euro
MEZZANOTTE A ISTANBUL – di Charles King, Einaudi, 400 pp., 32 euro
FRANCESCO E I PENTECOSTALI – di Raffaele Nogaro e Sergio Tanzarella, Il Pozzo di Giacobbe, 160 pp., 10 euro
IL CIELO SOPRA L’INFERNO – di Sarah Helm, Newton Compton, 717 pp., 12,90 euro