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Rivedere le fonti di energia. Poi, se serve, metteremo anche il maglione

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa 

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Al direttore - Le difficoltà di approvvigionamento del gas si aggiungono alle ottime ragioni per cui bisognerebbe impegnarsi, oltre che sul fronte della produzione di energia, anche su quello della riduzione dei consumi. Invece a casa mia, a Milano, il riscaldamento, centralizzato, va sempre a manetta. La temperatura, d’inverno, soprattutto quando fuori fa più freddo, oscilla tra i 22 e i 25 gradi: una sauna. Non va oltre perché teniamo spesso le finestre spalancate. A nulla valgono le mie frequenti email all’amministratore. Pare che appena la temperatura scenda nei limiti imposti dalla normativa – che pure esiste, ma appare largamente disapplicata – inizino le lamentele per il troppo freddo. Il problema non riguarda soltanto il mio stabile ma è piuttosto diffuso. Non vado a cena dagli amici portandomi dietro il termometro ma, su base empirica, posso affermare che l’abitudine a tenere le case eccessivamente calde sia molto diffusa in città. Moriamo soffocati dalle polveri sottili e paghiamo bollette salatissime ma non rinunciamo a stare in casa in maniche di camicia mentre fuori si gela.
Rocco Defina


Prima di mettere in campo una saggia rivoluzione dei maglioni, che quando si parla di Russia è una strategia infinitamente migliore rispetto a quella delle felpe, ops, sarebbe sufficiente, per limitare la nostra dipendenza dei paesi canaglia, imparare a memoria la frase pronunciata la scorsa settimana da Draghi: “La crisi ci obbliga a prestare maggiore attenzione ai rischi geopolitici che pesano sulla nostra politica energetica, e a ridurre la vulnerabilità delle nostre forniture: è stato imprudente non aver differenziato maggiormente le nostre fonti di energia”. Diversificazione, neutralità, mercato europeo, maggiore indipendenza e minore ideologia. E poi anche il maglione: se non ora quando?



Al direttore - La guerra in corso in Ucraina, che vede contrapporsi sul terreno civili e soldati contro l’invasore russo, è destinata inevitabilmente a estendersi allo spazio, sia come strumento di force enhancement delle truppe a terra, sia come oggetto delle ricadute politiche e strategiche del conflitto. Il 23 febbraio Christopher Scolese, direttore del National Reconnaissance Office, agenzia governativa che gestisce la rete di satelliti spia statunitensi, avvertiva dell’alta probabilità che il conflitto in Ucraina si estendesse allo spazio: le forze di guerra elettronica di Mosca potrebbero disturbare i segnali Gps attraverso tattiche chiamate spoofing, per cui il ricevitore calcola una posizione sbagliata, e jamming, si sovraccarica un ricevitore in modo che non possa ricevere ed elaborare dati dai satelliti di navigazione. I russi potrebbero mettere in campo queste azioni senza effetti collaterali sulle loro azioni militari dato che la Russia possiede il proprio sistema di navigazione satellitare, Glonass, e sistemi di navigazione radio alternativi con una rete di trasmettitori a terra che circonda il territorio ucraino consentendo all’esercito di Mosca di orientarsi anche senza accesso ad alcun sistema di navigazione satellitare. Lo spazio, high ground per eccellenza da cui è possibile osservare indisturbati l’intero pianeta, è già stato usato per documentare il graduale ammassarsi delle forze di Mosca ai confini ucraini e più recentemente gli effetti del conflitto su città e infrastrutture. Al giorno d’oggi queste immagini non provengono necessariamente da fonti militari: moltissimi privati operano con satelliti dotati di strumentazione fotografica.  La potenza russa nel campo del cyber warfare, la “guerra digitale” che sfrutta internet e i sistemi informatici per seminare panico e restringere accesso del nemico alle reti globali, è nota da tempo. Il timore che Mosca riesca a isolare completamente il governo ucraino e la sua popolazione dal World Wide Web, ha portato il vice primo ministro ucraino Mykhailo Fedorov a chiedere pubblicamente all’imprenditore miliardario Elon Musk, in un tweet diventato virale, l’accesso alla sua rete Starlink, una “mega-costellazione” di satelliti (1.700 sono attualmente in orbita, 40.000 pianificati per il futuro) in grado teoricamente di offrire connessione internet veloce in qualunque punto del pianeta.  Musk, rispondendo al tweet di Fedorov, ha annunciato che il servizio di Starlink sarebbe diventato immediatamente accessibile in Ucraina. Ma il ruolo di Elon Musk e la sua influenza nel conflitto in corso non si ferma a Starlink. Il 30 maggio 2020 una capsula per equipaggi Dragon dell’azienda SpaceX, di proprietà di Musk, è partita da Cape Canaveral alla volta della Stazione spaziale internazionale (Iss): oltre a essere la prima volta che un veicolo privato porta un equipaggio in orbita, quel lancio ha rappresentato la fine di quasi un decennio di dipendenza americana dalle Soyuz russe. Questo ha reso più semplice per il presidente Biden, nell’annunciare nuove sanzioni alla Russia, dichiarare che il pacchetto di misure avrebbe “declassato” il programma spaziale russo. La nuova “via americana allo spazio” sostenuta dall’iniziativa privata, permette a Washington di aver maggiore margine di manovra. La guerra in Ucraina oggi più che mai ha una ricaduta nello spazio e anche i privati ne sono protagonisti.
Domenico Petrolo e Matteo Iapadre  
Centro Studi Nina

 

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