Palazzo Chigi

I ceffoni di Draghi contro i populisti del gas: "L'Italia non si oppone a nessuna sanzione"

Carmelo Caruso

Il premier interviene in Aula e sferza gli "imprudenti" che hanno ridotto l'Italia a dipendere dal gas russo. Deciso mobilitazione di 3400 uomini. Sull'energia sarà agenda Cingolani

Roma. Erano tutti coscienti di essere stati degli incoscienti. Gli ha dato una serie di “energetici” ceffoni e loro non solo li prendevano ma gli dicevano: “Bravo! Giusto!”. Prima alla Camera e dopo al Senato, con la tosse che non si fermava, Mario Draghi, si è rivolto ai parlamentari per annunciare le sanzioni contro la Russia, la mobilitazione di 3.400 militari pronti a essere aggiunti al contingente Nato. Ha anticipato che le conseguenze che l’Italia rischia di pagare saranno notevoli e che questa guerra “dimostra l’imprudenza di non aver diversificato le nostre fonti d’energia”.


Nei momenti drammatici si abusa dell’espressione “l’ora più buia”. Ricorda i bunker, le lampade a petrolio. Anche Draghi l’ha utilizzata ma solo perché a Kyiv tutto questo sta accadendo: “Sono immagini terribili che ci riportano ai giorni più bui della storia europea”. Ieri, quando è arrivato alla Camera, c’era perfino troppa luce. L’orologio si è fermato alle 10.41. C’era lo stesso silenzio del camposanto. Raccontano che quando è tornato giovedì notte da Bruxelles, dopo il Consiglio straordinario, fosse devastato.

 

I leader europei avevano avuto una videochiamata con il presidente ucraino Zelensky. Gli chiedeva aiuto, li implorava: “La mia stessa famiglia è un obiettivo. Non bastano le sanzioni. Servono armi, militari”. Ieri mattina, Draghi ha provato a chiamarlo alle 9,30. In aula, e veramente stava per singhiozzare, ha rivelato che non è stato possibile perché il presidente “non era più disponibile”. Passavano pochi minuti e lo stesso Zelensky gli rispondeva con un tweet: “La prossima volta proverò a spostare l’agenda di guerra per parlare con Mario Draghi a un orario specifico”.

 

E ci deve essere stato un malinteso, così garantiscono i nostri diplomatici, se il dolore italiano veniva confuso per impertinenza, lo spavento per cinismo, se l’attesa di Draghi diventava, per Zelensky, l’arido disbrigo pratiche dell’occidente. Di pomeriggio, dopo un Cdm velocissimo, di ratifica delle sanzioni, provvedimenti che dispongono l’invio di equipaggiamenti all’Ucraina, il governo doveva infatti precisare che non si è mai opposto a “nessun tipo di sanzioni”, che non c’è nessun veto, da parte italiana, alla decisione eventuale di escludere la Russia dal sistema dei pagamenti internazionali Swift e che, ancora, non ha mai chiesto eccezioni per quanto riguarda i prodotti di lusso.

 

Voleva dire, e poi Draghi lo ha detto nel corso di un’altra riunione Nato, che “la nostra unità è e sarà sempre la risposta più forte. Manteniamo una posizione coesa e decisa”. L’Italia è disposta insomma a pagare il prezzo. In un passaggio del suo intervento, in Parlamento, è come se il premier, questo peso che gli sta caricando il cielo, lo abbia sentito tutto, quasi da schiacciarlo: “Ho la sensazione di essere solo all’inizio del cambiamento dei rapporti che ci hanno accompagnato in questi 70 anni”.

 

Si trova a gestire a una bis-catastrofe dopo quella sanitaria e l’Italia ci arriva scalcagnata, dipendente dal gas russo e senza rigassificatori. Quasi tutti gli italiani conoscono le “gloriose disfatte”, così le ha definite lo storico Mario Isnenghi: Adua, Caporetto, Dogali, El Alamein, Custoza, la “fatal Novara” di Carducci. Ce ne sono però altre. In ogni regione c’è almeno una battaglia che l’Italia ha perduto in nome dell’ideologia: Porto Empedocle, Porto Vesme, Brindisi, Trieste Zaule. E’ la mappa dei “no rigassificatori”, quell’imprudenza che per Draghi è anche burocratica, quella riduzione scellerata della produzione di gas. E’ stata la bandiera del M5s.

 

Si è passati da 17 miliardi di metri cubi nel 2000 a 3 miliardi nel 2020. Nell’informativa di Draghi c’era dunque tanto del suo ministro Cingolani che ha pubblicamente ringraziato insieme al ministro Guerini. Si capirà il ruolo di Cingolani, solo se si continuerà a ripetere che “la transizione energetica” è sinonimo di sovranità e indipendenza. Come si possono infatti difendere i valori della democrazia se per accendere una lampadina bisogna chiedere, per il quaranta percento, l’energia elettrica al nemico che bombarda? L’America si è detta disponibile a rifornirci di gas. Si punterà in futuro sul Gnr (gas naturale rinnovabile). Non si esclude il ripristino di centrali a carbone. Sono due: Taranto e Civitavecchia. Al momento la Russia non ha sospeso le forniture. E’ la stessa Russia che, per Draghi, “rappresenta la più grave minaccia da decenni”. Ieri, l’unica buona notizia, è che si avvicina la primavera e comincerà a fare caldo.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio