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lettere rubate

Lo scrittore fantasma e il suo esilio. Alla ricerca di Milan Kundera

Annalena Benini

L’indagine di Ariane Chemin, inviata speciale del Monde, è una piccola biografia letteraria (e innamorata) di un grande romanziere che ha deciso di cancellare la sua esistenza

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“Nel giugno 1985, ho fermamente deciso: mai più interviste. Salvo i miei diritti d’autore, a partire da questa data qualunque mia dichiarazione riportata deve essere considerata come un falso”.
“Nome in codice: Elitár I, sulle tracce di Milan Kundera”, di Ariane Chemin (NR edizioni, 135 pp.)

Milan Kundera ha tenuto fede alla sua decisione, non ha mai più parlato, tranne nell’autunno 2008. Uno storico e giornalista portò a galla il suo passato ceco e comunista: scrisse che a vent’anni l’aspirante scrittore Kundera, nel 1950, aveva denunciato alla polizia un giovane oppositore del regime comunista, provocandone l’arresto e la condanna a ventidue anni di carcere. “Sono completamente sbalordito da questa cosa che non mi aspettavo affatto, di cui fino a ieri non sapevo nulla e che non è avvenuta”. L’indagine di Ariane Chemin, inviata speciale del Monde, è una piccola biografia letteraria (e innamorata) di un grande scrittore in esilio, di un romanziere che ha deciso di cancellare la sua esistenza, e che per l’edizione “La Pléiade” di Gallimard ha voluto rimuovere la prefazione a Lo scherzo del critico Louis Aragon, che ovviamente politicizzava il libro. A tutte le domande: lei è un comunista? lei è un dissidente? è di sinistra o di destra?, Kundera ha risposto sempre: sono un romanziere.

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Ariane Chemin ha ottenuto da Vera, moglie di Kundera da oltre cinquant’anni e figura imprescindibile, qualche allegro messaggio sul cellulare, qualche promessa di un bicchiere di vino un giorno, qualche ricordo e la certezza di un grande amore intrecciato al destino di fuga e di tormento. Le ha chiesto se era vero che da Parigi tornavano spesso in Repubblica Ceca, nascosti, camuffati, e Vera ha risposto: “Stupidaggini”, firmandosi: Agente 007. Del resto lui scriveva per farla ridere, diceva, e durante una vacanza nel 1976 le dettò Il libro del riso e dell’oblio per non vederla triste davanti alla macchina da scrivere. Ci sono stati anche anni spensierati, ma soprattutto c’è stata la scrittura. L’ossessione di controllare le traduzioni dal ceco in francese, la frustrazione di non padroneggiare abbastanza bene la lingua, l’orecchio assoluto per la musica. Ariane Chemin, tradotta da Francesco Maselli, va alla ricerca di ombre e di ricordi, vuole trovare nelle radici e nel dolore il segreto di quest’uomo anti-ideologico, che ha innalzato l’intimità a valore supremo, che era stato schedato con il nome Elitár (tra i suoi amici anch’essi schedati, l’americano Philip Roth). “Per arrivare da un piccolo paese con una piccola lingua in un grande paese con una grande lingua bisogna avere i nervi saldi”, ha detto di lui Philippe Sollers. Ma nient’altro si potrà sapere di lui: però possiamo leggerlo.       

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