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lettere rubate

Tornare dove tutto è cominciato. "Volevo essere Madame Bovary" di Anilda Ibrahimi

Annalena Benini

Il ritorno in Albania di una ragazza cresciuta lì, che desiderava ardentemente la libertà senza sapere esattamente che cosa fosse. Un romanzo per riflettere con morbidezza sui passaggi esistenziali, sulle origini, sul bisogno dei tacchi alti per non sentirsi più una provinciale

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Durante la lezione decide che proverà le selezioni del concorso. Leda, la sua compagna di stanza, non è d’accordo:
– E se ti scoprono i tuoi genitori?
– E’ un mondo nuovo, – risponde Hera. 
– Ormai siamo libere.

“Volevo essere Madame Bovary”, di Anilda Ibrahimi (Einaudi)

  

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Che cosa resta di una ragazza cresciuta in Albania, che desiderava ardentemente la libertà senza sapere esattamente che cosa fosse? Nei suoi occhi la libertà erano i vestiti eleganti, gli amori romantici, i grandi romanzi. La libertà era altrove, sempre. La libertà di non essere un uomo, né una svergognata a cui bisogna rasare i capelli perché è fuggita con il ragazzo che ama. La libertà di frivolezza, di ardore, di avventura. Di non stare ai fornelli e di non imparare dalla nonna a preparare la pasta a filo. Una ragazza così, negli anni Ottanta in Albania, aveva il sangue marcio. Ma il tempo è passato, la libertà è arrivata, con tutta la forza e le contraddizioni e le delusioni. Soprattutto con la velocità di una vita che vola in un secondo, che non offre il tempo di fermarsi a pensare che cosa è successo, che cosa è stato di quel desiderio di felicità.

 

La protagonista di questo romanzo di Anilda Ibrahimi, scrittrice nata e cresciuta in Albania, laureata a Tirana, torna adesso, dopo tanti anni, nel luogo in cui tutto è cominciato. Vive a Roma, ha un ruolo pubblico, nessuno si accorge delle sue origini, ha due figli e un matrimonio deludente, fermo nella noia: un matrimonio occidentale, civile e senza strappi. In Albania lei torna con il suo amante, come una Madame Bovary consapevole, torna a riannodare i fili, a capire che cosa è successo e che cosa è diventata. Il suo amante è albanese e fa rumore mangiando, il suo amante ha una moglie che gli stira le camicie e che gliele compra, che gli lava le mutande e gli cucina cose buone. La moglie è brutta, rassicurante perché “così almeno sono sicuro che non mi tradisce”. Quell’uomo che ha conosciuto la libertà durante l’adolescenza è ancora totalmente invischiato in qualcosa di arcaico e comodo a cui non sa rinunciare.  E’ l’Albania o è il maschio? E’ stato il comunismo o è il cambiamento epocale che scoraggia, che ci coglie sempre impreparati? Anilda Ibrahimi riflette con morbidezza sui passaggi esistenziali, sul ritorno alle origini, sul bisogno dei tacchi alti per non sentirsi più una provinciale che a ogni passo rischia di essere risucchiata dal vecchio mondo. Meglio perdersi, meglio continuare ad andarsene. E’ la vita, bellezza.  

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