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lettere rubate

Jana Karšaiová, prigioniera delle radici, capace di dire addio. Il romanzo del cambiamento

Annalena Benini

Il dolore di Divorzio di velluto è quello di Katarína, ma anche il dolore del divorzio di un paese: la separazione tra Slovacchia e Repubblica Ceca. Sentirsi orfani, una madre che dice: "Tu sei proprio senza speranza". Guasta, una figlia guasta, una casa guasta, un paese guasto

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Katarína ha aperto la valigia. Sua madre per anni aveva sostenuto che alla Vigilia non si possono mettere i jeans e la maglietta, ma bisogna essere pronti all’arrivo del messia. Anche se per il regime non esisteva, Gesù bambino portava i regali lo stesso.
Jana Karšaiová, “Divorzio di velluto” (Feltrinelli)

Jana Karšaiová ha scritto Divorzio di velluto in italiano, la lingua che ha scelto vent’anni fa. Nata a Bratislava alla fine degli anni Settanta, questa scrittrice profonda e attentissima alle relazioni, al buio che ci si porta dentro, al desiderio inespresso, ha scelto un esergo che riguarda la rinascita, e la fatica che questo esercizio esistenziale porta con sé. “Era, diciamo così, irrimediabilmente prigioniera delle proprie radici”, di Aleksandar Hemon.

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Katarína, la protagonista, è tornata a Bratislava per Natale, è sola perché suo marito l’ha lasciata con un biglietto due mesi prima, le incomprensioni con la madre sono rimaste dov’erano, l’assenza della sorella, partita ormai da molto tempo, le brucia il cuore e in città ci sono tutte le sue compagne di università, ognuna con il suo carico di addii o di prigione. Soprattutto c’è Viera, che ha scelto l’Italia e che non vuole più essere straniera, non vuole più soffrire. Sono giovani donne forti, contemporanee, piene di desideri e di libertà interiore, ma gli strappi hanno un prezzo, la fatica si sente a ogni passo, la ricerca di sé ha bisogno di fare giri lunghi, anche di tornare in fila con il padre, per la carpa da comprare viva e da uccidere nella vasca da bagno.

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Il divorzio non è soltanto quello di Katarína da Eugen, con il quale viveva a Praga, sentendosi sempre più spesso come quella carpa non più viva ma non ancora morta, ma è anche il divorzio di un paese: la separazione tra Slovacchia e Repubblica Ceca. Sentirsi orfani, una madre che dice: “Tu sei proprio senza speranza”. Guasta, una figlia guasta, una casa guasta, un paese guasto. Un matrimonio fatto di corsa, per slancio, per fuga, per amore e per mancanza.

Il dolore di Divorzio di velluto è il dolore dettagliato, poi a vampate, del cambiamento: partire o restare, partire o scappare, non vedere la sorella adorata da sette anni, sentire tutti i fili che si spezzano. La forza di Jana Karšaiová sta nel non rinunciare a niente di una storia viva che interroga sullo smarrimento e sulla ricostruzione, con spietatezza, con rabbia, con il rifiuto di ogni cliché, e con una lingua conquistata. Katarína non sapeva cosa fosse il Dams, ma si vergognava a chiederlo. Forse era anche questo che intendeva Viera quando diceva che non voleva essere una straniera? Quando, nonostante la conoscenza quasi perfetta della lingua, non capisci? Un’eterna intrusa”. Un libro duro e profondo, che restituisce senso e complessità alla parola: integrazione.  

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