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Lettere rubate

Lo sguardo intatto, ostinato, acuto e pigro di Patrizia Cavalli. E la speranza del ricominciare

Annalena Benini

Carnali e ironici, i versi della poetessa scoperta da Elsa Morante non abbandonano mai la meravigliosità della frivolezza 

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Cerco l’amore e mi tormento sempre

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Cerco l’amore e mi tormento sempre

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ma non voglio l’amore veramente.
Cerco l’amore e non mi tormento affatto, 
non verrà mai il mio cuore sopraffatto.
Cerco l’amore per essere punita, 
così in anticipo vinco la partita.
Patrizia Cavalli, “Vita meravigliosa” (Einaudi)

 

Che grande regalo, queste poesie di Patrizia Cavalli con cui accompagnare il nuovo anno che inizia e a cui non sappiamo che cosa dire. Ritrovare intatto lo sguardo preciso di una poeta che trasforma il privato in universale e viceversa. Uscire per strada, con fatica, e tornarsene poi delusi e modesti al calore di casa è già di per sé un atto poetico se raccontato con questi versi classici e sinuosi che nascono sempre da un’impressione e mai da un ragionamento, ma che ragionano eccome, mentre diventano la parola perfetta, unica, insostituibile, che serve a dire la noia, o l’invecchiamento, o lo scherzo dell’amore. 
Patrizia Cavalli è di nuovo qui, in versi, carnale e ironica, con quella noncuranza soltanto apparente, di chi ama follemente la vita e i giorni, ma non vuol dar loro eccessiva soddisfazione. “Ma basta insomma vieni cosa aspetti, / menti pure se vuoi, che me ne importa? / Mi basta che tu appaia alla mia porta / e con la voce scura sillabata / mi dica ancora quell’unica parola / che esiste solo quando è pronunciata”. Ma basta insomma vieni cosa aspetti. C’è qualcosa di più importante di non aspettare, di non perdersi, di non fare troppe storie, in questa vita che fugge tra dispiaceri noie, acciacchi e vanità. La leggendaria vanità di Patrizia Cavalli è la vanità di una poeta che conosce se stessa e sa prendersi gioco di sé e del suo desiderio di trovarsi sempre nel paradiso delle più amate. Nella poesia “Con Elsa in Paradiso”, in cui Elsa è Elsa Morante, che ha scoperto e amato per prima i versi di Patrizia Cavalli, c’è la gioia di essere sempre la prescelta, e anche il disagio di desiderare sempre qualcos’altro (“Ma io non ero ancora così stanca / e preferivo i pranzi concitati, benché / tra me un po’ mi vergognassi / di non avere spirito abbastanza / per trasognarmi nei piaceri alati”). La libertà di raccontare di sé e degli altri, di prendersi in giro, di vendicarsi, di innalzarsi fino al cielo e poi scendere a precipizio sopra una tovaglia o un bicchierino, o una sciarpa rosa ardente: “Vita meravigliosa” offre anche il contrario di quel che annuncia nel titolo, come è nello stile di Patrizia Cavalli, o forse significa che nonostante il ripetersi dei tormenti e dei giorni uguali, e dello strazio di settembre che porta con sé la nostalgia dell’estate, e dello strazio di maggio che invece la promette (“A me è maggio che mi rovina, e anche settembre”), nonostante i tormenti piccolissimi e privatissimi che diventano immensi e assoluti, questa vita ancora meraviglia e va festeggiata e consolata, tutto insieme, ma soprattutto: tutti insieme. La solitudine è accettabile soltanto in alcune ore del giorno e della notte, e la morte è così antipatica. “Mi annoio tanto, non voglio più morire”, è il verso di una raccolta precedente, ma lo sguardo di Patrizia Cavalli è intatto, ostinato, acuto e pigro e si rifiuta di abbandonare la meravigliosità della frivolezza. Leggere queste poesie, una dopo l’altra, significa anche sentirne la musica, e liberarla dentro di sé, e credere alla piccola, grandiosa speranza dell’umanità: “Ricominciare, oh sì, ricominciare”

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