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Dove nascono le anomalie dell’Italia

Modernizzazione, Stato, unità. E noi italiani non abbiamo mai “ucciso lo spazio” tra l’Italia e il Sud. Parla Sabino Cassese

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Chi l’ha fatta più grossa, il governo che ha deciso un atto di liberalità, chiamato bonus, a favore di professionisti, a spese della collettività, senza neppure aggiungere una norma che impedisca di fruirne a chi non ne ha bisogno; la maggioranza parlamentare che ha convertito il decreto legge senza ascoltare chi proponeva di stringere i freni; i parlamentari e altri amministratori che ne hanno approfittato per chiedere una donazione che rappresenta meno del 20 per cento di quel che percepiscono come indennità mensile; il presidente di un ente pubblico che ha operato controlli non previsti dalle norme (decisione saggia) non per un generale scopo moralizzatore, ma per dare la croce addosso agli appartenenti ad altra fazione politica o dimostrare che la politica è cosa comunque sporca. Chi ha sbagliato di più? E, domanda più importante, perché l’Italia non riesce a essere un paese “normale”?

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Chi l’ha fatta più grossa, il governo che ha deciso un atto di liberalità, chiamato bonus, a favore di professionisti, a spese della collettività, senza neppure aggiungere una norma che impedisca di fruirne a chi non ne ha bisogno; la maggioranza parlamentare che ha convertito il decreto legge senza ascoltare chi proponeva di stringere i freni; i parlamentari e altri amministratori che ne hanno approfittato per chiedere una donazione che rappresenta meno del 20 per cento di quel che percepiscono come indennità mensile; il presidente di un ente pubblico che ha operato controlli non previsti dalle norme (decisione saggia) non per un generale scopo moralizzatore, ma per dare la croce addosso agli appartenenti ad altra fazione politica o dimostrare che la politica è cosa comunque sporca. Chi ha sbagliato di più? E, domanda più importante, perché l’Italia non riesce a essere un paese “normale”?

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Se per “paese normale” si intende un paese simile agli altri membri dell’Unione europea, la domanda è mal posta. Il motto dell’Unione è proprio “unita nella diversità”. Se “normale” è invece definita una nazione che abbia scelto tra il sistema proporzionale (ma accettando di sapersi mettere d’accordo tra avversari, come in Germania) e quello presidenziale (ma accettando il doppio turno per far davvero scegliere al popolo, come in Francia). Una nazione che non cambi ogni uno-due anni il capo del governo, mandando quindi sempre un novizio a Bruxelles. Una nazione che non abbia evasione ed erosione fiscale (la prima illegittima, la seconda legittima, ma egualmente ingiusta) per un ammontare stimato in più di 200 miliardi. Una nazione con forte povertà educativa e costo del debito più alto della spesa per scuola, università e ricerca. Una nazione con percentuale degli occupati bassa e nella quale un quarto dei contribuenti paga quasi l’80 per cento dell’Irpef (alcune di queste contraddizioni sono illustrate in maniera efficace da Alberto Brambilla nel suo recente libro Le scomode verità su tasse, pensioni, sanità e lavoro, Milano, Solferino, 2020). Ebbene, in tal caso, vale la pena di chiedersi quali siano le cause di questo stato di cose, di questa “anormalità”.

  

Accettata la sfida, cerchiamole, allora le cause.

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Cominciando con lo scartarne una, solitamente considerata come centrale: il ritardo nella nascita dello Stato unitario. L’Italia “newcomer” dell’unificazione. La Germania era ben più divisa dell’Italia e giunse all’unità un decennio dopo l’Italia. Ha dovuto affrontare e superare una ulteriore divisione, dopo la Seconda guerra mondiale, sanata con la caduta del Muro di Berlino. Eppure non presenta le anomalie dell’Italia.

  

Quali, dunque, le vere cause?

Ne indicherei tre, sulle quali si è formato un largo consenso di storici e politologi, riguardanti modernizzazione, Stato e unità.

  

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Cominciamo dalla modernizzazione

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Lo storico napoletano Raffaele Ajello ha indagato questo deficit e vi ha dedicato una parte del libro scritto prima della sua morte: Civiltà moderna. Lineamenti storici e problemi italiani (Istituto italiano di studi filosofici, Napoli, 2019). Sostiene che la modernità si diffonde in Italia con tre secoli di ritardo, a causa delle discordie, del sottosviluppo, dell’assenza di democrazia, del fallimento del riformismo illuministico (oltre che, sul piano intellettuale, del formalismo, del dogmatismo, dell’hegelismo e del crocianesimo).

  

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Lo Stato: questo è anch’esso arrivato tardi. Quindi, hanno ragione quelli che attribuiscono un ruolo importante alla unificazione avvenuta solo nel XIX secolo.

No, lo Stato è rilevante in altro senso, perché la formazione nazionale non ha individuato nello Stato una impresa collettiva. Lo Stato è rimasto distante dalla società. Ha obbligato, non ha influenzato, indotto, stimolato, educato. Il suo diritto è stato costruito su un modello di individuo anomico e asociale e la sua legittimazione sulla forza e sulla minaccia della forza. I suoi processi di decisione non sono mai riusciti a dominare la complessità dei poteri pubblici moderni. Il suo paternalismo non è riuscito mai a sfruttare la razionalità dei suoi cittadini, o le loro passioni, o i loro interessi. In una parola, lo Stato non ha avuto un progetto per la società.

  

Siamo alla terza delle cause: l’unità.

Tra Roma e Milano e tra Roma e Cosenza vi è all’incirca la stessa distanza. Milano si raggiunge in treno in un tempo che è meno della metà del tempo necessario per andare con lo stesso mezzo a Cosenza. Un grande studioso londinese, Orlando Figes, ha scritto di recente un libro, di cui consiglio vivamente la lettura, tradotto in italiano con il titolo Gli europei. Tre vite cosmopolite e la costruzione della cultura europea nel XIX secolo (Milano, Mondadori, 2020). Vi illustra il modo in cui si è affermata la cultura europea. Vi spiega che il canone europeo si è affermato all’epoca della ferrovia. Tanto che il grande poeta tedesco Heinrich Heine poteva affermare nel 1843 che “lo spazio è stato ucciso dalla ferrovia”. Noi italiani non abbiamo mai ucciso lo spazio tra l’Italia e il Sud. L’equilibrio si è tenuto per un certo tempo a costo di un altro squilibrio: la meridionalizzazione dello Stato e la settentrionalizzazione dell’economia. Ora anche questo equilibrio squilibrato si è rotto.

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