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La versione di Cassese

Cosa il Covid poteva insegnare alla politica

Un fattore di successo può diventare, passata l’emergenza, motivo di insuccessi. Il governo tiene segreti i verbali del Comitato tecnico-scientifico. Anzi no, ma solo in parte. Il dovere di spiegare. Parla Sabino Cassese

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Il governo prima rifiuta di esibire a tre avvocati i verbali delle adunanze del Comitato tecnico-scientifico, poi si oppone alla sentenza del Tar che stabilisce che vanno fatti conoscere, poi cambia idea e manda ai tre avvocati, appoggiati dal Centro Luigi Einaudi, i verbali di cinque adunanze del Comitato. E’ una condotta lineare o oscillante?

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Il governo prima rifiuta di esibire a tre avvocati i verbali delle adunanze del Comitato tecnico-scientifico, poi si oppone alla sentenza del Tar che stabilisce che vanno fatti conoscere, poi cambia idea e manda ai tre avvocati, appoggiati dal Centro Luigi Einaudi, i verbali di cinque adunanze del Comitato. E’ una condotta lineare o oscillante?

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Più che le oscillazioni (un governo debole oscilla) mi sembra rilevante la debolezza degli argomenti adoperati dalla difesa governativa per sostenere la tesi della segretezza. Sono stati usati motivi “formali”, ha scritto il Tribunale amministrativo regionale. La difesa governativa ha cercato di spiegare che si trattava di “atti amministrativi generali” e si è detta disposta all’esibizione dopo la fine dell’emergenza. Il Tribunale ha eccepito che non erano state fornite “ragioni sostanziali”, riguardanti “esigenze oggettive di segretezza o riservatezza” e ha quindi dato torto al governo, spiegando che atti “presupposti” di provvedimenti con “particolare impatto sociale” dovevano essere sottoposti alla regola della più ampia trasparenza.

 

Ma l’argomentazione giuridica doveva anche essere raccordata con la politica del M5s, che ha portato Conte alla presidenza del Consiglio e che fa parte del governo. Possibile che chi predicava ogni giorno trasparenza e il presidente che si è dichiarato “avvocato del popolo” rifiutino di esibire atti che hanno costituito la base di decisioni tanto importanti del governo?

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La coerenza non è una delle doti dei governi in generale, e di questo in particolare. Accontentiamoci per ora di tre conclusioni: il governo è stato oscillante, debole e incoerente. Ma sono altri gli aspetti più rilevanti.

 

Quali?

E’ vero che il 28 febbraio sono state avanzate dal Comitato proposte più restrittive per le tre regioni del nord più colpite dalla pandemia, seguite però da provvedimenti non tempestivi? Se fosse così, si potrebbe imputare alla decisione politica la tardività. Secondo: è vero che il suggerimento successivo metteva in luce la diffusione differenziata della pandemia al nord e al sud, mentre è stata seguita dalla clausura generale, su tutto il territorio nazionale? Se così fosse, si potrebbe affermare che il provvedimento governativo è stato sproporzionato (qualcuno ha fatto calcoli che valuterebbero il costo in 100 miliardi di perdita di prodotto interno lordo; ma queste stime andrebbero sottoposte ad accurato controllo). Terzo: è vero che il suggerimento di chiudere le zone più colpite del Bergamasco è intervenuto tempestivamente e che il successivo provvedimento, riguardante l’intera regione, ma meno rigido, ha peggiorato la situazione? In tal caso, si potrebbe dire che l’azione di Palazzo Chigi è stata imprevidente.

 

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Perché tutte queste cautele, tutti questi interrogativi?

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Per due motivi. Il primo è che Palazzo Chigi è stato particolarmente parco nell’esibire gli atti del Comitato tecnico scientifico: ne ha forniti cinque, non in successione, ora pubblicati sul sito del Centro Einaudi. Per dare un giudizio ponderato, bisognerebbe averli tutti. Il secondo è che, se le analisi del Comitato erano la base indubitabile delle decisioni, le valutazioni da fare nell’assumere i provvedimenti dovevano tener conto anche di altri elementi (come si dice correntemente, erano decisioni politiche).

 

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Ma queste decisioni le conosciamo.

Ma non ne conosciamo le basi ulteriori e ne conosciamo motivazioni molto sintetiche. Ecco un altro buon motivo di critica dello strumento adottato, il dpcm. Proprio perché proveniente da organo monocratico, senza un previo esame collegiale, come quello che può svolgere il Consiglio dei ministri, esso è uno strumento che si presta più facilmente ai “principis iussa”, agli ordini del principe, che non deve spiegare, può ordinare e farsi obbedire senza motivare.

 

Dopo aver esaminato che cosa sia accaduto, possiamo riflettere sulle lezioni che se ne traggono?

Sono almeno due. La prima è che l’esecutivo deve spiegare. Non basta farlo a parole, in televisione. Va fatto per iscritto, nel provvedimento, in modo che si possa valutare il bilanciamento che esso fa in queste difficili decisioni. Questo non vuol dire che l’esecutivo abbia minore discrezionalità. Vuole solo dire che deve dar conto del modo in cui ha esercitato il suo potere discrezionale. Sono princìpi elementari che gli studenti di diritto conoscono, e che gli avvocati conoscono e praticano. La seconda riguarda l’esercizio della politica. Il nocchiero della nave in difficoltà nei marosi può contare sulla solidarietà di marinai e passeggeri finché c’è tempesta, perché tutti stanno sulla stessa nave. Quando la tempesta diminuisce, marinai e passeggeri gli imputano però gli errori di rotta che ha fatto. Se la prima fase gli dà la massima popolarità, la seconda lo fa diventare un capro espiatorio, un parafulmine. Queste vicende insegnano alla classe politica che quello che oggi è un fattore di successo, domani può diventare la causa di insuccessi.

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