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Il figlio

I giganti di Gigi Datome: educare i ragazzi (e i genitori) a perdere. Una conversazione

Paola Peduzzi

Sconfitta non significa fallimento, non provare a vincere lo è. Colloquio con il capitano della nazionale italiana di basket, autore e protagonista di un fumetto illustrato da Danilo Loizedda

Gianna e Cesare giocano a basket ma al campetto non li vuole nessuno. Il campetto non è la palestra in cui ci si allena con la propria squadra, non c’è il coach, non ci sono schemi, divise, regole: il campetto è il mondo fuori che assale i ragazzini e li fa sentire grandi e inadeguati assieme, tutte le età, canestri occupati, posso giocare?, pochi minuti per dimostrare che cosa sai fare. Per Cesare e Gianna è inaccessibile: tu sei femmina e non giochi, tu sei grosso e non giochi. Poi una mattina all’alba, nel campetto vuoto c’è un gigante con la barba e gli occhi grandi, forte, accogliente e riconoscibile: è Gigi Datome, il capitano della nazionale italiana e dell’Olimpia, autore e protagonista del libro-fumetto Il gigante del campetto (Battello a Vapore, edizione limitata di EXPlus). “Anch’io ho incontrato i giganti, a cominciare da mio padre e mio fratello”, mi dice Datome dopo aver presentato il libro, che ha scritto con Marco Magnone e che è illustrato da Danilo Loizedda: “Ho incontrato però anche dei riferimenti negativi e siccome penso che questa sia una generazione delicata, mi sono messo, con una certa presunzione, tra i portatori di esempi positivi: il cattivo esempio può essere più accattivante e divertente, non è facile riconoscere il tuo gigante”. Datome-gigante è disciplina, impegno, fiducia, squadra, tantissima squadra, che è appartenenza, chimica, stima, contare uno sull’altro. Il gigante fa un esperimento e chiede a Gianna e Cesare: “Voi quando passate la palla?”. Lei risponde titubante: “Appena posso?”; lui: “Quando non ho altra soluzione?”. Il gigante si mette le mani nei capelli e porta i due ragazzi in biblioteca: scegliete un libro che vi rappresenta, uno solo. Gianna torna con quattro libri, Cesare con nessuno. Ora cercatene uno per l’altro, e dopo dieci secondi Gianna dice: “Facile, sarebbe un fantasy pieno di draghi e cavalieri”; Cesare: “Per lei un bel manga”. “In campo è uguale – dice il gigante – nessuno vince o perde da solo, dovete pensare non solo con la vostra testa, ma anche con la testa dei vostri compagni. E dovete fidarvi, passare la palla significa credere in chi la riceve”. 

 

Vincere e perdere: eccoci qui. Datome ha scritto una storia di squadra e fiducia e vittoria. Ma chi insegna ai ragazzini a perdere? Poche ore prima della nostra conversazione, Giannis Antetokounmpo, una star dell’Nba, aveva appena affrontato il tema, dopo che un giornalista gli aveva chiesto se, essendo la sua squadra stata eliminata dai playoff, questa era per lui una stagione fallimentare: va ascoltata tutta la sua risposta, ma in sostanza dice che perdere non è un fallimento, non provare a vincere è un fallimento. “L’educazione alla sconfitta è una questione culturale, dobbiamo occuparcene tutti – dice Datome – Tra i ragazzini la sconfitta diventa il più delle volte derisione, manca la narrazione della sconfitta, non esiste proprio, va costruita, perché ora esiste soltanto il mondo di chi vince, che è dio, e il mondo di chi perde, che è un fallito. Lì in mezzo invece c’è il mondo che va educato”. Lo sforzo è di tutti, degli allenatori come delle famiglie, e poiché da quando seguo mio figlio nei suoi sport mi interrogo di continuo sul ruolo dei genitori-tifosi, genitori-allenatori, genitori-disapprovanti, devo chiedere a Datome se siamo noi genitori di questa generazione a essere così invadenti o se è sempre stato così (di lì a poco, dallo schermo sbucherà Gaia con un sorriso gigante, sua figlia). Non siamo noi, “quando ero ragazzo, mio padre lo sentivo bello rumoroso dalla tribuna”, ma i genitori “hanno la responsabilità di capire che c’è una percentuale infinitesimale di ragazzi che poi diventeranno fortissimi, non devono essere ossessionati dalle prestazioni. Incoraggiare i propri figli è molto bello, per il resto c’è l’allenatore. Un allenatore sardo che mi allenava da piccolo diceva sempre: ‘Sogno una squadra di giocatori orfani’”. Ride, dice che sui social girano “le regole per i genitori” sulle tribune, poi torna a quel che gli piace di più, il buon esempio, i buoni consigli. Un libro per i ragazzini? “Coach Wooden and me di Kareem Abdul-Jabbar”, risponde sicuro. E’ la storia di un gigante.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi