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Elogio del sollievo, clandestino e non: l’emozione più bella che c’è

Annalena Benini

La paura della tracotanza, la gioia del pericolo scampato, il desiderio negato di un gatto

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Sono passati centotrentotto giorni dal primo ricovero in terapia intensiva a Bergamo per Coronavirus, e l’altro ieri l’ultimo tampone è risultato negativo: la direttrice dell’ospedale ha detto che è stato un momento molto emozionante. Il sollievo è emozionante, ma noi abbiamo paura di dirci sollevati. Questo virus ci ha così feriti e umiliati che il sollievo ci sembra una forma di tracotanza, ci sembra che qualcuno verrà a bussarci su una spalla per dirci: non dovevi essere sollevato, era troppo presto. Quindi per paura di questa pacca sulla spalla io mi sto rovinando tutto il sollievo, o meglio vivo dentro un sollievo clandestino, di cui non parlo e che sono disposta a negare in qualunque momento, ho sempre tre o quattro mascherine nello zaino, piuttosto sporche ma significative, molti gel igienizzanti in tutte le tasche, lascio le scarpe all’ingresso come nel mese di marzo, e quando mia figlia dice: però dai che sollievo, è il momento di prendere un altro gatto, scuoto la testa contrariata (per il sollievo e per il gatto) e mia figlia allora dice: sembri la nonna. La nonna non accetta l’esistenza in sé del sollievo, perché è un atteggiamento mentale troppo rischioso, e vorrebbe tanto un gatto ma non lo ammette. Io, rispetto a lei, e rispetto a mia figlia che è totalmente sollevata e anche totalmente fissata con il gatto, mi metto in una posizione di mezzo. La posizione scaramantica dello struggimento: vorrei tanto essere sollevata e vorrei tanto un altro gatto, ma non ho abbastanza coraggio per assumermene la responsabilità. 

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Sono passati centotrentotto giorni dal primo ricovero in terapia intensiva a Bergamo per Coronavirus, e l’altro ieri l’ultimo tampone è risultato negativo: la direttrice dell’ospedale ha detto che è stato un momento molto emozionante. Il sollievo è emozionante, ma noi abbiamo paura di dirci sollevati. Questo virus ci ha così feriti e umiliati che il sollievo ci sembra una forma di tracotanza, ci sembra che qualcuno verrà a bussarci su una spalla per dirci: non dovevi essere sollevato, era troppo presto. Quindi per paura di questa pacca sulla spalla io mi sto rovinando tutto il sollievo, o meglio vivo dentro un sollievo clandestino, di cui non parlo e che sono disposta a negare in qualunque momento, ho sempre tre o quattro mascherine nello zaino, piuttosto sporche ma significative, molti gel igienizzanti in tutte le tasche, lascio le scarpe all’ingresso come nel mese di marzo, e quando mia figlia dice: però dai che sollievo, è il momento di prendere un altro gatto, scuoto la testa contrariata (per il sollievo e per il gatto) e mia figlia allora dice: sembri la nonna. La nonna non accetta l’esistenza in sé del sollievo, perché è un atteggiamento mentale troppo rischioso, e vorrebbe tanto un gatto ma non lo ammette. Io, rispetto a lei, e rispetto a mia figlia che è totalmente sollevata e anche totalmente fissata con il gatto, mi metto in una posizione di mezzo. La posizione scaramantica dello struggimento: vorrei tanto essere sollevata e vorrei tanto un altro gatto, ma non ho abbastanza coraggio per assumermene la responsabilità. 

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Se ci penso però mi rendo contro che il sollievo è una delle emozioni migliori che esistano, e andrebbe riconosciuto molto più spesso: sentirsi liberati da un rischio, da una preoccupazione, da una sofferenza, da un guaio, da una prova, sentire che tutto quello che temevamo si è sciolto, che anche stavolta è andata, che non ho davvero perso l’anello di mia nonna ma che era semplicemente finito sotto il cuscino. Siamo molto più felici dopo che ci sembrava di stare per perdere tutta la felicità, e invece non è successo ed è tutto ancora qui, quasi intatto anzi ricoperto di una nuova luce, più prezioso.

 

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Nella classifica dei sollievi migliori c’è il pomeriggio della maturità, l’attimo dopo il parto, l’esame di procedura civile quando mi hanno detto: va bene, si accomodi, ventisei, alcuni scampati pericoli di ordine sentimentale, sollievi di tipo medico che riguardano persone care e anche me stessa e il mio terrore di tutti i medici, il sollievo per il sollievo di mia figlia quando ha saputo di essere stata promossa a giugno, il sollievo di mio figlio quando gli ho detto che non si muore bevendo un bicchiere d’acqua troppo freddo (spero che sia vero) e anche che non ce ne frega assolutamente niente se i cinesi lo stanno spiando attraverso TikTok.

 

Il sollievo di quando scopro di essere in regola con i pagamenti, e di quando la pizza portata a casa non è diventata fredda e la birra non è diventata calda. Il raro sollievo di svegliarmi la mattina e scoprire che ho dormito una notte intera. Il sollievo ogni volta che mia figlia prende l’autobus da sola e non sbaglia la fermata e suona alla porta tutta contenta e io posso fingere di non essermi preoccupata e le chiedo solo se si è divertita, e sono così sollevata che quasi quasi mi sono divertita anch’io. Insomma, io adoro sentirmi sollevata, e vorrei l’autorizzazione al sollievo, almeno fino a quest’autunno, e vorrei non scuotere la testa contrariata quando mia figlia mi parla del gatto che ha intenzione di salvare. Ma come i virologi e gli immunologi non vogliono rischiare di sbagliare un’altra volta, quindi scuotono la testa e profetizzano sciagure, così io temo le conseguenze del mio esplicito sollievo, e anche la possibilità che il cane divori il gatto o viceversa. Quindi mi nascondo e spero che qualcuno mi liberi dalla responsabilità portando a casa un gatto e dicendo: non hai altra scelta, è un ordine dei cinesi di TikTok. Sarebbe un grande sollievo.

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