Perché le mani (della Soprintendenza) sulla città non funzionano mai

Giovanni Seu

Il caso del Meazza ma non solo: così, nella pletora di indirizzi decisionali, si rischiano di perdere gli investimenti e bloccare i progetti

Non fosse per il rispetto a un ufficio che ha il compito di tutelare il patrimonio artistico, ci sarebbe da sorridere sulla giurisprudenza dalle Soprintendenze milanesi nelle loro varie e articolate giurisdizioni. A cominciare dalla decisione più recente, quella della Commissione regionale per il patrimonio culturale della Lombardia secondo cui “lo stadio Giuseppe Meazza non presenta interesse culturale e come tale va escluso dalle disposizioni di tutela”, in contrasto con un precedente parere della soprintendente Antonella Ranaldi che giudicava il Meazza “significativo dal punto di vostra architettonico”, dando parzialmente ragione al Consiglio comunale e costringendo di fatto Milan e Inter a rivedere i progetti del nuovo stadio conservando almeno una memoria architettonica del vecchio impianto. Che, a questo punto, potrebbe non essere più un obbligo.

 

Serve una precisazione: a decidere sulla sorte di edifici e aree milanesi negli ultimi anni si sono cimentati ben tre organismi, la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la Città metropolitana, la Commissione regionale per il patrimonio culturale e il ministero per i Beni culturali. Una pluralità che però ha prodotto un indirizzo univoco con l’accoglimento di pressoché tutti i ricorsi e il conseguente blocco dei lavori, il più delle volte già avviati. Lo dimostrano i casi più importanti, a cominciare dal Vigorelli che l’amministrazione Pisapia cercava di recuperare. Nel 2012 la Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Milano stoppa il progetto vincitore obbligando il Comune a definire assieme un restauro conservativo che salvaguardi la pista. Palazzo Marino ricorre al Tar, ma gli va male. La ristrutturazione si conclude con fatica nel 2019 trasformando l’ex tempio del ciclismo su pista in campo per il football americano, unica attività possibile dopo il progetto revisionato dalla Soprintendenza.

 

Altro caso riguarda l’Istituto Marchiondi, capolavoro dell’architettura brutalista in stato di abbandono dagli anni 80. Un tentativo di recupero arriva nel 2007 quando la struttura disegnata da Vittoriano Viganò viene destinata a residenza universitaria a seguito di un accordo di programma tra Comune, Politecnico, Fondazione Cariplo e Consorzio delle cooperative. Due anni dopo il Politecnico getta la spugna per i costi di restauro resi troppo alti dai vincoli posti dalla Soprintendenza. Almeno due stop portano la firma dell’ex ministro del Mibac Alberto Bonisoli. In piazza D’Armi, un’area con spazi verdi di oltre 416 mila mq, il Comune tenta di valorizzare gli ex magazzini militari abbandonati seppure consentendo indici edificatori bassi. Nel maggio scorso arriva il vincolo da Roma che blocca qualsiasi ipotesi di recupero, sarà poi Franceschini, successore di Bonisoli, ad attenuarlo in seguito alle rimostranze dell’amministrazione comunale. Per il quartiere Qt8 lo scorso anno la direzione generale Archeologia belle arti e paesaggio del Mibac decretava “l’interesse culturale particolarmente importante”, in sostanza il vincolo monumentale non a un monumento ma a un’area abitata da circa 16 mila persone. Con la conseguenza che per un nuovo intonaco alla facciata, o per una modifica interna, è necessario avviare una pratica che in media si completa in quattro mesi.

 

Oggi è sullo stadio di San Siro che si sta svolgendo una partita molto complessa tra il Comune e le società. Il parere della commissione regionale dello scorso 13 maggio di fatto ne autorizza la demolizione. Ma servirà rivedere, nel caso, anche il “piano B” da poco presentato. “Il tema vero non è lo stadio ma le volumetrie previste da quella che è un’operazione finanziaria – dice il consigliere dei Verdi Enrico Fedrighini – Sarà necessario uno studio su costi e benefici di tutte le opzioni senza farci prendere dalla fretta”. Proprio i tempi potrebbero essere un elemento decisivo, visto che tra un anno si vota: “Sala deve rispondere a gruppi ambientalisti e una parte della maggioranza contraria – spiega il capogruppo di FI a Palazzo Marino Fabrizio De Pasquale – non decidere significa rischiare di perdere gli investimenti per un progetto che, nell’ultima versione, è accettabile perché salvaguardia lo stadio e purché non contempli un centro commerciale”.