I due favoriti alla segretaria del Pd: Nicola Zingaretti e Maurizio Martina (Foto LaPresse)

Tutti i sentieri del Pd che si biforcano ma chissà dove vanno

Fabio Massa

La diaspora dei renziani tra Zingaretti e Martina aumenta (se possibile) la marginalità del Nord

Temporeggiare è arte antica, ma di difficile applicazione, soprattutto nella politica del social network compulsivo, e nel tuittamento senza soluzione di continuità. Così, tra una pausa e una fuga in avanti, il Pd di Milano si trova a rimorchio di un congresso che comunque vada sarà un mezzo insuccesso per il Nord, che vorrebbe anche da questo partito, non solo dal governo, risposte a domande concrete. Vale per la contesa tra Nicola Zingaretti e Maurizio Martina la “prima legge dei sentieri” di Murphy: “I sentieri più battuti non portano da nessuna parte”.

 

Ma considerato che ad oggi ci sono solo due strade, non resta molto su cui recriminare, se non la volontà assurda e perpetua di Milano di non volersi mai mettere in gioco a livello nazionale, uscendo dalla cerchia dei Bastioni. In politica, bravi a chiacchierare e a dare l’esempio: a mettercisi per l’Italia, un po’ meno. Vecchio refrain della sinistra nordica, buona ad avvolgersi come un clochard nelle pagine del Sole 24 Ore che raccontano quanto Milano sia bella, per non avvertire il freddo di una elaborazione politica ormai sotto zero, che verrà purgata amaramente in futuro. Tant’è.

 

La deriva di quelle “correnti” che furono dei continenti e ora sono al massimo degli incontinenti (nel senso che non tengono dentro nessuno), ha dunque questa suddivisione. Da una parte c’è chi sceglie Zingaretti, il governatore del Lazio. Ovviamente Pierfrancesco Majorino, l’assessore al Welfare che pare sogni di andare a fare l’europarlamentare, è il leader degli “zingarettiani”. Antico amore, Zingaretti, che vede in Majorino un potente alleato locale. Ottima visibilità, c’è chi dice che se guiderà il partito, potrebbe metterlo a fare il capolista in Europa. Ma per ora sono fantasie premature. Dalla sua Majorino ha quasi tutto il Consiglio comunale di Milano, e ha trovato una alleata potente in Lia Quartapelle.

 

Lei era stata al centro della “battaglia di Milano”, una rivolta dopo la compilazione delle liste da parte dei renziani suoi compagni, che la vedevano esclusa. Al suo posto, l’amico di Formigoni Paolo Alli. Poi però Maurizio Martina fece un passo indietro. Oggi lei tra Martina e Zingaretti, ha annunciato il suo appoggio a quest’ultimo. Una scelta comunque sofferta e generatrice di sofferenze, anche per le tempistiche. Il Pd di Milano infatti si sarebbe voluto tenere al di fuori della contesa almeno fino a gennaio. Missione impossibile: dopo mille conciliaboli con Lorenzo Guerini i parlamentari renziani hanno fatto la loro scelta, e Lia Quartapelle ha fatto quella opposta.

 

Un colpo di scena, per quanto annunciato, che non mancherà di terremotare quelli che furono il gruppo del circolo 02PD, poi ribattezzati “turborenziani”, salvo poi allontanarsi dall’uomo di Rignano, prima lentamente e poi assai velocemente dopo la compilazione delle liste di cui sopra. Con Zingaretti c’è poi Franco Mirabelli, capo di Area Dem in Lombardia. Senatore, uomo di Franceschini, è pancia a terra per il governatore laziale. Per Zingaretti si è dichiarata anche Barbara Pollastrini, coordinatrice nazionale di SinistraDem.

Dall’altra parte c’è Maurizio Martina, che a Milano si appoggia su Matteo Mauri. Parlamentare di indubbio valore, Mauri costituisce l’asse su cui poggia il consenso di Martina. Su Martina, come detto, si sono direzionati tutti i parlamentari del territorio ex renziani. Guerini ha spinto, e hanno firmato. A partire da Alessandro Alfieri, ex segretario regionale. Convintamente su Martina c’è poi Carmela Rozza, consigliera regionale che sarebbe stata in maggior difficoltà se ci fosse stato in campo Marco Minniti, del quale è amica. Ora non più, e può vivere senza tentazioni un congresso “purtroppo senza mozioni”, e anche senza emozioni. I cattolici come l’assessore Marco Granelli arrivano a Martina “ma perché stiamo con Richetti, vogliamo dirlo chiaro”, spiega il capogruppo Pd in Consiglio regionale Fabio Pizzul. Poi tra i candidati c’è Francesco Boccia, che raccoglie un po’ di consenso, ma di certo non sfonda tra i grandi capibastone, ma si vedrà dopo la sua visita milanese.

Ora occorre tornare all’inizio. Che cosa fa tutto il gruppo dirigente che ebbe in Pietro Bussolati la sua guida, il suo vertice amministrativo in Pierfrancesco Maran, in Consiglio Filippo Barberis e che ancora oggi controlla una buona parte del partito con Silvia Roggiani, eletta con percentuali bulgare qualche settimana fa? Da una parte ci sono gli ex renziani, molti dei quali compagni di battaglie. Dall’altra c’è Lia Quartapelle, con tutto quello che rappresenta. La tentazione di sparigliare e di giocare con Zingaretti c’è, ed è grande. Ma la controindicazione si chiama Pierfrancesco Majorino: il leader degli zingarettiani è lui, e dunque come rapportarsi con colui che in questi anni è stato politicamente è stato esponente assai distante più o meno da ogni concetto sostenuto da 02PD?

 

Dall’altra parte Martina rappresenta un porto conosciuto, “la strada battuta”, per moltissimi, che tuttavia lo hanno criticato aspramente negli ultimi mesi per la sua inattività e per la sua incapacità a esprimere concetti forti. I due, intanto, corteggiano Milano. Zingaretti: “Nel Pd milanese si è affermato in questi anni un modello in controtendenza che ha coniugato confronto e rispetto con l’apertura alla società. Un bel modello da cui ripartire anche per il nuovo Pd nazionale che dovremo costruire“. Martina: “Il lavoro fatto a Milano è l’esempio da seguire per costruire il centrosinistra”. In effetti, c’è una terza soluzione tra Martina e Zingaretti, per il gruppo dirigente: non schierarsi e non giocare subito la partita, prendere tempo, temporeggiare. Per dirla sempre con la legge di Murphy, nel comma Stenderup: “Prima rimani indietro, più tempo hai per raggiungere gli altri”. Il problema è uno solo. Si chiama irrilevanza.

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