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GranMilano

A Milano mancano personale e risorse per la regolarizzazione degli immigrati

Cristina Giudici

L’emergenza della sanatoria (per la protezione internazionale, i ricongiungimenti familiari, la cittadinanza) bloccata e altri problemi di non accoglienza milanese

Sarebbe cosa buona e giusta che i presidenti candidati alla guida della Regione, ad esempio Pierfrancesco Majorino, per convinzione politica il più focalizzato sui diritti sociali – e che nel suo mandato da assessore al Welfare ha puntato molto sul modello Milano per l’accoglienza – si occupassero, oltre che delle liste di attesa nella Sanità e dell’infernale mobilità per i pendolari, anche dell’umanità dolente senza diritto ad avere risposte per la “sanatoria” per la protezione internazionale, i ricongiungimenti familiari, la cittadinanza. Certo, l’immigrazione è competenza del Viminale e l’operatività territoriale è gestita da questura e prefettura di concerto con gli enti locali, ma sarebbe cosa buona e giusta leggere nei programmi elettorali una proposta regionale per riuscire ad avere una regia più tempestiva e dare soluzioni alle migliaia di cittadini stranieri, ostaggi della burocrazia se non di un vero e proprio “sabotaggio di leggi e normative per mancanza di risorse e personale” – come ci ha spiegato Irene Pavlidi, esperta immigrazionista dello studio legale Incipit.

 

La notizia della dispersione coi lacrimogeni, lunedì scorso, di una folla di cittadini stranieri in attesa di fronte alla caserma di via Cagni è un’offesa alla credibilità della città che si definisce capitale europea e faro dello stato di diritto. Certo, Milano e le principali città lombarde sono polo di attrazione per tutti gli stranieri che arrivano, sempre più numerosi, e mettono in difficoltà i funzionari e le istituzioni che se ne devono far carico; ma forse può esserci una risposta più rispettosa che quella di far confluire gli aspiranti alla protezione internazionale davanti a una caserma, una volta alla settimana, dove viene dato accesso solo a 120 persone. Una riffa disperata per migliaia di persone costrette al limbo dell’attesa. Una caotica situazione che viene trattata come una questione di ordine pubblico. “Dopo anni di incapacità di rispondere tempestivamente alle richieste di protezione internazionale, la questura di Milano ritiene che non ci sia di meglio da fare che disperdere con i lacrimogeni la folla che cerca di entrare e, con un acrobatico rimbalzo di responsabilità, la scarica sulle persone che, esasperate dall’attesa, cercano di entrare per prime”, ha commentato Anna Radice, presidente dell’associazione Naga che offre assistenza sanitaria e legale ai migranti.

 

Una situazione che si è venuta a creare quando gli uffici sono stati decentrati, rispetto alla sede dell’ufficio immigrazione della questura “per ragioni di decoro”, ci ha spiegato Cesare Mariani del Naga. “Nel dicembre scorso i funzionari si sono trovati ad affrontare una folla esasperata di duemila persone e hanno chiuso lo sportello fino a gennaio”. Spostare il problema in periferia è una tattica poco nobile e molto praticata per rendere meno visibile un’emergenza, ma la radice del problema è un’altra: mancano personale e risorse. “Il Viminale ha affidato le pratiche a impiegati, reclutati da agenzie interinali, che poi non sono stati confermati. E così le istanze vengono svolte con una lentezza inaccettabile”, aggiunge Mariani. E anche chi ha chiesto di essere regolarizzato grazie alla mini-sanatoria approvata nel 2020, si trova ostaggio della burocrazia da due anni e mezzo perché nell’attesa non può tornare nel proprio paese di origine per qualche emergenza, come il funerale di un parente. Osserva Irene Pavlidi: “Secondo i dati del Viminale, al 10 novembre scorso risultavano ancora in corso di istruttoria 51.019 domande (il 24,5 per cento delle 207.870 istanze presentate nel 2020). A Milano sono state inviate il 10 per cento delle domande per l’emersione, con 27 mila pratiche, ma ne sono state elaborate solo la metà e i funzionari che se ne devono occupare sono rimasti in due”. E non è finita qui. “Il Consiglio territoriale per l’immigrazione non si riunisce dal 28 settembre del 2020. Anni fa era stato adottato un efficace protocollo che coinvolgeva il terzo settore per snellire le pratiche, ora invece da troppo tempo non esiste un referente stabile in prefettura. E poi ci sono problemi, di competenza regionale, sulla sanità. Fra i tanti, le madri senza permesso di soggiorno hanno difficoltà ad accedere all’assistenza dei pediatri e gli stranieri comunitari indigenti devono pagare le prestazioni sanitarie”. Un dramma che si incrocia ai senzatetto, circa 8.500 secondo l’Istat, (10.117 nella città metropolitana) in balia del freddo. Il modello Milano deve dare nuove risposte. 

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