Gran Milano

Il 2022 sarà (finalmente) l'anno della Rai al Portello? (Boh)

Daniele Bonecchi

Sala e Fontana ne parlano con Fuortes. Il Piano industriale (a maggio) prevede il nuovo centro di produzione. Dubbi

C’era una volta la capitale dell’editoria, della tv, della pubblicità. Coi suoi colossi: Rizzoli e Mondadori (libri, quotidiani, periodici), Rai e poi Mediaset (tv, radio, pubblicità) e infine Sky. Già, la Rai. Quella che fa notizia soprattutto per le risse politiche di Roma, viale Mazzini. Quasi mai per quel che avviene a Milano.

Archeologia: fino al gennaio 1980 padrona assoluta (col monopolio) della informazione e dello spettacolo televisivi, con la forza delle sue sedi territoriali e centri di proiduzione. Nel 1980 Berlusconi, che ci lavorava da anni, lanciò la sua sfida (la prima) e si palesò con Mike Bongiorno negli studi di TeleMilano, presentando il primo network televisivo privato nazionale.
Il resto è storia. Una storia che ha avuto a lungo Milano al centro, ma sempre meno il marchio Rai, sempre più i marchi delle reti private. Da qualche anno, un lungo ma costante declino di centralità, in stretta relazione con l’emergere del digitale, e delle grandi piattaforme che con la vecchia industria pesante della televisione hanno poco da spartire.

Eppure Milano vuole tornare protagonista. Ci aveva provato con Sky a Santa Giulia, ma il colpo inferto al colosso della pay tv da Dazn nel settore calcio rischia di essere letale. Eppure, tra mille insidie, ora ci riprova la Rai, col nuovo Centro di produzione al Portello. Che potrebbe essere la novità dei prossimi mesi. Quasi un ideale ritorno, perché in Fiera (nel secolo scorso) la Rai ha creato i suoi programmi cult: da “Lascia o raddoppia?”, a “Portobello” a “Fantastico”.

Il nuovo Centro di produzione Rai di Milano era stato una bandiera per la Lega di Umberto Bossi, che carezzava l’idea di portare in città anche un telegiornale. Oggi invece è il sindaco Beppe Sala, in compagnia del governatore Attilio Fontana, a scommettere sulla Rai al Portello: “Sì, sono ottimista, perché ho capito dai vertici della Rai che quello che loro non possono fare, oggi, è prendere una decisione per Milano al di fuori del Piano industriale. E il Piano sarà presentato a maggio, e conterrà l’operazione su Milano e altro. Al punto che se qualcuno mi chiedesse di scommetterci, io ci starei”. Nei giorni scorsi c’è stato un confronto tra il cda Rai, Sala e Fontana. E Carlo Fuortes ha confermato il via libera a primavera.

Ma davvero si giustifica la creazione di un nuovo grande polo della tv pubblica a Milano? “L’operazione del nuovo Centro di produzione al Portello ha senso, anche rispetto alle prospettive che la tv – come comparto economico – mostra di avere. Nonostante la pandemia le produzioni Rai sono andate avanti, con e senza pubblico. La Rai ha tenuto bene e per lungo tempo è stata un faro, infatti l’autorevolezza dell’informazione del servizio pubblico è diventata un appuntamento irrinunciabile per molti cittadini”, spiega al Foglio Daniela Cardini, docente associata in Linguaggi della tv allo Iulm.

Certo l’aggressività delle piattaforme e la presenza invasiva dei social potrebbe mettere a rischio ciò che resta del vecchio medium. “Il requiem per la tv viene suonato molto spesso, ma di fatto la tv è viva, anche quella generalista”, insiste Cardini. “In particolare la Rai, che negli ultimi anni, ha fatto un lavoro – soprattutto dal punto di vista dei generi, delle serie (in forte concorrenza con le piattaforme) – gigantesco, con prodotti di ottimo livello. Dal punto di vista della salute della tv generalista non ci sono segnali preoccupanti, il pubblico di questa tv (più maturo) resiste e non si sposta facilmente sulle piattaforme. I più giovani guardano le serie su Netflix e Prime. Ma dal punto di vista dei contenuti il segnale più forte è la tenuta della Rai che ha saputo innovare. Sull’intrattenimento ci sono format solidissimi e anche qui non si vedono segnali di sofferenza”.

Per Mediaset la musica è diversa, accanto alla ricerca di una dimensione internazionale, o di una vendita secca, (chissà, è come per le ambizioni di Berlusconi al Quirinale: sogno o realtà?), l’operazione di “fusione” delle news non è sembrata guardare avanti, accanto alla gestione sulle montagne russe dei talk tardo populisti che designano una nicchia di pubblico non proprio rivolta al futuro. “Sulla serialità Mediaset non fa nulla, punta tutto sull’intrattenimento, spesso discutibile (vedi ‘Grande Fratello’), o un modello di gossip spinto. L’intrattenimento segue percorsi vecchi, fatto salvo il ‘prodotto De Filippi’, la vera cassaforte di Mediaset”, spiega Daniela Cardini.
Ma anche in casa Biscione, lo spazio propriamente produttivo è ormai residuale. “Sky con la perdita dei diritti del calcio ha perso a gran parte della sua attrattività e anche le serie (non si vive di solo ‘Gomorra’) non brillano. I format dell’intrattenimento tengono ma sono al limite dell’usura”. Sono invece le piattaforme la punta avanzata del consumo di audiovisivo oggi, con una offerta consistente e un tentativo di sbarcare sul mercato dell’ex intrattenimento televisivo (vedi i Ferragnez)”. 

Che ne sarà del futuro in tv? Vale la pena un investimento come quello che Rai sembra intenzionata a fare a Milano? “Difficile fare previsioni a lungo raggio – conclude la professoressa Cardini – quello che si può dire è che nei media contemporanei la televisione è il mezzo che si adatta meglio al cambiamento. Soffre ma funziona. Questo modello di tv cambierà (la tv è la storia del paese), però resiste sia nel linguaggio che nella trasformazione“. La tv è la fotografia di un paese, di una cultura”. Al netto di chef e naufraghi, speriamo”. Se la Rai saprà scommettere sull’innovazione, sfruttando anche le sue piattaforme, a Milano ha una riserva di prtofessionalità ancora importante.

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