Piazza Monte Grappa a Varese (da Wikipedia)

Gran Milano

La fatal Varese, banco di prova per il centrosinistra lombardo

Fabio Massa

Nel feudo leghista la destra si gioca molto. Il Pd non sfonda. Le lezioni per le regionali

Prevedere oggi quale potrebbe essere l’esito, tra poco meno di due anni, della contesa regionale è assai difficile, quasi impossibile. Fino a un anno e mezzo fa si dava per scontato che ormai la sinistra, sull’onda della mala gestione dell’emergenza Covid del governo regionale e della grandissima popolarità del governo Conte, avrebbe avuto già nel sacco l’obiettivo grosso, ovvero Palazzo Lombardia. Dimenticando il filosofo di tutti noi, Trapattoni e il suo gatto. Poi le cose sono andate cambiando: il successo della campagna vaccinale, che ormai registra un incredibile 9 su 10 (ovvero il 90 per cento di vaccinati, e praticamente tutti con due dosi), e il passare del tempo dalle immagini terribili di Bergamo hanno fatto cambiare le percezioni. E se la sinistra-sinistra vocifera in giro di avere un candidato forte, spendibile, che non risponde né al nome di Beppe Sala né a quello di Ferruccio Resta, rimane il punto: contro una Letizia Moratti o un Guido Guidesi, chi può opporre il centrosinistra? E come finirebbe il voto lontano dai grandi centri urbani come Milano, ormai da dieci anni e per i prossimi cinque saldamente in mano – a ogni elezione e con risultati pure in miglioramento – al centrosinistra e al Pd governista?

 

Un indizio, a proposito di aruspici, può darlo Varese. Che non è solo Varese, città bellissima ma lontana dai numeri di abitanti ed elettori di Milano o Brescia o Bergamo. Perché Varese è il luogo dove per dieci anni ha fatto il sindaco Attilio Fontana, è il territorio dove è nata la Lega di Bossi, è il luogo dove origina la carriera politica di Roberto Maroni e Raffaele Cattaneo (formigoniano). Varesotto di provincia è Giorgetti. Insomma, Varese è la culla dell’intellighenzia e in un buona parte anche dell’intelligenza del centrodestra.

A Varese cinque anni fa ha vinto Davide Galimberti, centrosinistra. A differenza di scelte civiche (dubbie, in molti casi) in giro per l’Italia, la Lega a Varese ha candidato un politico puro: Matteo Bianchi, stimato segretario provinciale di Varese e deputato Lumbard. Un buon candidato, a detta di tutti. Galimberti ha fatto una campagna che non ha risparmiato critiche fortissime alla Regione, ricalcando più volte il seguente schema: Fontana, ex sindaco di Varese, ha fatto malissimo nella gestione pandemia (e via a ricordar di camici e roba simile). Bianchi è Fontana, dunque votate per me. Hanno votato per lui il 48 per cento degli elettori, e quasi il 45 per cento per il suo sfidante (44,89 per cento). Una percentuale assai risicata di scarto, con mille voti di differenza. Il Pd va fortissimo: 26,72 e la Lega vale più o meno la metà (14,74). Però il fatto che Galimberti, nella terra di Fontana, il più colpito dalla narrazione sul Covid, più ancora di Gallera, investito per mesi e mesi da notizie scandalistiche più o meno vere (a proposito: quando arriva la richiesta di rinvio a giudizio sul caso camici? Ormai dovrebbe essere in dirittura d’arrivo), non abbia prevalso al primo turno ha colpito molto i pensatoi (soprattutto milanesi) che si preparano alle prossime regionali.

A sinistra è stato come un brivido freddo lungo la schiena, e un’indicazione per la prossima campagna elettorale: se già adesso nella terra del governatore, che viene dato come punto di debolezza del centrodestra, non c’è vantaggio dalla vicenda Covid, come si potrà avere un vantaggio tra un anno e mezzo in territori e valli lontane? Urge un ripensamento della strategia e un ritorno a parlare di economia, di sviluppo, di crescita. Sui morti non si fabbrica, si diceva un tempo. Pare valga sia per la maggioranza (leggasi Conte, che ormai ramingo ha percentuali da ridere in tutta la contea lombarda) che per l’opposizione che vorrebbe divenire maggioranza nella primavera 2023.

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