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GranMilano

La casa comune della Salute, la sfida riformista di Lady Moratti

Daniele Bonecchi

Il disastro è passato. Ecco che cosa c’è nel progetto per la Sanità regionale pronto a partire. Dubbi di medici e Pd

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Il cambio di passo c’è stato. O per meglio dire l’uscita a riveder le stelle dopo un anno passato all’inferno, con i pasticci a raffica della Sanità regionale travolta dalla prima e anche dalla seconda ondata del virus, con il tasso di malati e vittime più alto d’Italia, con le terapie intensive intasate, i medici di base allo sbando e persino il piano vaccinale che non riusciva a decollare. Oggi Regione Lombardia ha numeri eccellenti sulla campagna vaccinale, tanto da avere già programmato il via alla terza dose, e attende solo il via libera delle agenzie nazionali. La bufera che ha sferzato i cittadini lombardi e attraversato la giunta di Attilio Fontana sembra lontana (una mano l’ha data Guido Bertolaso, nonostante lo scetticismo di molti) e oggi la vice presidente e assessore al Welfare Letizia Moratti può con una certa tranquillità sollevare gli occhi dall’emergenza e guardare al futuro. Da prima dell’estate Lady Moratti lavora infatti per avviare, entro fine anno, timing decisamente ambizioso, una generale riforma della Sanità (ora in Consiglio regionale), di cui tanto si è avvertito il bisogno nei mesi sorsi.

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Il cambio di passo c’è stato. O per meglio dire l’uscita a riveder le stelle dopo un anno passato all’inferno, con i pasticci a raffica della Sanità regionale travolta dalla prima e anche dalla seconda ondata del virus, con il tasso di malati e vittime più alto d’Italia, con le terapie intensive intasate, i medici di base allo sbando e persino il piano vaccinale che non riusciva a decollare. Oggi Regione Lombardia ha numeri eccellenti sulla campagna vaccinale, tanto da avere già programmato il via alla terza dose, e attende solo il via libera delle agenzie nazionali. La bufera che ha sferzato i cittadini lombardi e attraversato la giunta di Attilio Fontana sembra lontana (una mano l’ha data Guido Bertolaso, nonostante lo scetticismo di molti) e oggi la vice presidente e assessore al Welfare Letizia Moratti può con una certa tranquillità sollevare gli occhi dall’emergenza e guardare al futuro. Da prima dell’estate Lady Moratti lavora infatti per avviare, entro fine anno, timing decisamente ambizioso, una generale riforma della Sanità (ora in Consiglio regionale), di cui tanto si è avvertito il bisogno nei mesi sorsi.

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Moratti punta le sue carte sulla medicina territoriale. Anche perché quasi due anni di emergenza hanno ulteriormente allargato i buchi nella rete dei medici di base (moltissimi i presidi scoperti) e allungato le liste di attesa delle visite specialistiche e degli interventi di “ordinaria amministrazione”.

“Il progetto di riforma è destinato a portare la Lombardia tra le prime regioni d’Europa – spiega Emanuele Monti, della Lega, relatore e presidente della commissione Sanità al Pirellone – obiettivo prioritario: tempi certi di realizzazione, tra settembre e ottobre, individuando le aree dove andare a istituire le Case della comunità, all’insegna della collaborazione pubblico-privato”. Il criterio, spiega, “è avere i medici di medicina generale in forma aggregata, in grado di operare sul campo. Sono loro l’elemento chiave del progetto. Poi la mappatura delle strutture: quelle nuove, quelle da riqualificare, la riorganizzazione dei servizi nelle strutture già esistenti”. In terzo luogo, prosegue, “c’è l’organizzazione di queste Case della comunità modello hub, in grado di coordinare un territorio compresi i poliambulatori”. Le risorse arrivano in larga misura dal Recovery fund, la Regione ha già messo sul tavolo 700 milioni, 100 dei quali serviranno a riorganizzare l’Ats di Milano. 


Poi c’è il capitolo che riguarda i medici, sempre pochi, stanchi di fare i passacarte di ricette e prescrizioni, penalizzati dalla precedente, in parte abortita riforma Maroni. Nella categoria circola ora il dubbio a proposito di ciò che vorranno essere le “case della comunità”, e quali i loro rapporti tra le strutture territotiali già esistenti, la libera professione, i centri territotiali già gestiti dal privato. Domande non da poco. “Con le sigle sindacali dei medici il rapporto è molto buono”, risponde Monti, “le loro richieste parlano di meno burocrazia e più strumenti per fare il loro lavoro. Purtroppo la Lombardia ha pochi medici disposti a lavorare in forma aggregata, nostro obiettivo è incentivarli, dando anche la possibilità a gruppi di loro in cooperativa di prendere direttamente la gestione integrale di intere Case della comunità. Ci stiamo muovendo a tutti i livelli per ottenere nuove borse di studio per i medici disposti a lavorare sul territorio. Abbiamo bisogno di 350 medici l’anno, negli ultimi anni ne abbiamo avuti 100 e non riusciamo nemmeno a coprire il turnover. Poi occorre snellire le procedure per l’accesso alla professione medica sul territorio: la Lombardia è stata la prima regione ad accendere il faro sulla carenza dei medici di famiglia con richieste puntuali e tempestive. Serve un intervento urgente del ministro della Salute”. Il problema è annoso: “Negli ultimi 10 anni sono stati tagliati 37 miliardi di euro alla medicina territoriale, come certificato dalla Fondazione Gimbe, sono stati dimezzati i finanziamenti per la formazione dei medici di medicina generale e ora, con il picco dei pensionamenti, le Regioni sono lasciate solo a gestire una situazione senza precedenti” conclude Monti.

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Il progetto Milano. “Siamo la prima Regione ad attuare la previsione per quanto riguarda la Sanità territoriale contenuta nel Pnrr. Abbiamo presentato il progetto su Milano in cui iniziamo a realizzare quindici case della comunità e nove ospedali della comunità”, ha detto Letizia Moratti spiegando il suo progetto. Che prevede strutture di nuova costruzione ma anche edifici riqualificati e ristrutturati: “Saranno divisi in hub e spoke”, ha continuato Moratti: “Negli hub il servizio sarà 7 giorni su 7 e 24 ore su 24 e negli spoke 12 ore al giorno per sei giorni. Sarà una Sanità che si avvicina ai cittadini”. Tra le funzioni delle strutture: vaccinazioni, programmi di screening, servizi di specialistica ambulatoriale per patologie ad elevata prevalenza e servizi infermieristici”.  Il progetto Milano, che sarà modello per il resto del territorio, è stato realizzato sulla base di una analisi socio-demografica che ha valutato numero di abitanti, età della popolazione, densità abitativa, principali patologie con particolare riferimento a quelle croniche e consumi sanitari. Ha previsto la collocazione delle strutture all’interno della città tenendo come elemento di valutazione prioritario l’aggregazione dei medici di medicina generale sul territorio (Centri di riferimento territoriale – Crt), che sono 23. All’interno di Case e Ospedali di comunità saranno collocate tutte le funzioni più prossime al cittadino, come prevenzione e promozione salute; cure primarie e per gestire i pazienti cronici; un’area di ambulatori specialistici per criticità poco complesse e un’area di servizi integrati col comune, che si colloca tra aspetto sanitario e sociale. Una Casa di comunità indicativamente sarà al servizio mediamente di 50 mila abitanti; un Ospedale di comunità è previsto per ogni Asst, per un totale nella città di Milano di 15 Case di comunità e 9 Ospedali di comunità. L’Ospedale di comunità ospiterà le stesse funzioni della Casa di comunità, con in più tra i 20 e i 40 posti letto a bassa intensità. I tempi sono stretti, su Milano si prevede di attivare sette strutture entro un anno. Oggi gli assisiti riconoscono soprattutto l’ospedale come luogo di cura, in futuro i milanesi potranno riconoscere le Case e gli Ospedali di comunità come nuovi presidi per la salute dei cittadini.

Poi c’è la politica. Oltre alle complessità tecniche del progetto, quella che ambisiozamente si disegna come la “riforma Moratti” dovrà affrontare anche il dibattito politico (anche se, al Pirellone, la maggioranza appare blindata). Il Pd, che nei mesi scorsi ha approntato un proprio disegno di riforma, è fortemente critico. Già prima dell’estate Samuele Astuti, capodelegazione in commissione Sanità per il Pd, aveva attaccato soprattutto sulla mancata “revisione” del ruolo dei privati: “In Lombardia dai tempi di Formigoni è permesso fare ciò che meglio credono, senza una vera programmazione da parte della Regione, che si limita a pagare. Contavamo su una correzione di rotta, che era stata pure annunciata, ma evidentemente in giunta è passata la linea Moratti: nessun obbligo per i privati di erogare anche le prestazioni meno remunerative, in compenso potranno aprire le case di comunità, per le quali ci sono ingenti stanziamenti statali”. Sarà una partita politica. tenendo conto che, se una nuova ondata non tornerà a gettare i lombardi nel panico, molto difficilmente scenderanno in piazza con l’opposizione a chiedere la teste della Sanità.

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