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GranMilano

Oltre la mossa di Beppe Sala

Fabio Massa

La lunga strada del sindaco non è solo comunicazione (azzeccata). Squadra da rivedere e programma

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Mezza luna, detta anche drible de vaca. Prima finti di andare da una parte, poi allunghi e uccelli l’avversario rimasto là fermo, in attesa, disorientato. E così che Beppe Sala alla fine ha saltato il centrodestra e si è smarcato, con una mossa a sorpresa non nei contenuti (tutti sapevano da mesi che aveva deciso di andare avanti), ma nei tempi. E se è vero che il ritmo è l’anima della musica, lo è ancor di più della politica.

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Mezza luna, detta anche drible de vaca. Prima finti di andare da una parte, poi allunghi e uccelli l’avversario rimasto là fermo, in attesa, disorientato. E così che Beppe Sala alla fine ha saltato il centrodestra e si è smarcato, con una mossa a sorpresa non nei contenuti (tutti sapevano da mesi che aveva deciso di andare avanti), ma nei tempi. E se è vero che il ritmo è l’anima della musica, lo è ancor di più della politica.

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Ci si aspettava che la prima mossa l’avrebbe fatta Matteo Salvini e invece tra una cincischiata e l’altra ora si trova a inseguire in una posizione che già di partenza era di svantaggio. Peggio di così per il centrodestra non si poteva fare, per dirla chiara. Sala si sveglia la mattina di Sant’Ambrogio, chiama il portavoce Stefano Gallizzi, fa il video, ci mette dentro un po’ di fairplay (chiunque sarà il vincitore sarà di alto livello) che poi si scioglierà come neve al sole delle polemiche di marzo, ci mette dentro la voglia di discontinuità, ci mette dentro contenuti e cuore ma soprattutto cervello. A leggere bene, Sala è bravissimo a fare i riassunti: nel suo discorso c’è tutto. Manca la parte delle cose da fare, ma per quello c’è il programma, c’è la campagna elettorale. E dunque, quali sono le cose da fare? E con quale squadra?

 

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Iniziamo da quest’ultima, perché la discontinuità ha la sua prima traduzione pratica proprio nella prossima giunta. Prevedibilmente, Sala non dirà nulla di nulla finché non avrà in saccoccia la ricandidatura, ovvero dopo il secondo turno (o addirittura il primo, come incoraggiano sondaggi peraltro ancora un po’ sballati: perché, senza avversario, come fanno ad essere accurati?). Però qualcosa trapela: la regola dei dieci anni, ad esempio, che andrebbe a colpire gli assessori che hanno servito già sotto Giuliano Pisapia. Che sono quattro (anzi, tre, perché Filippo Del Corno ha deciso da tempo di non ricandidarsi): Cristina Tajani, Marco Granelli e Pierfrancesco Maran. Se verranno tagliati, come farà Beppe Sala con i loro voti? Soprattutto Maran e Granelli hanno un grandissimo seguito, e sono titolari di partite fondamentali per la città. Può Sala metterli da parte? Chissà.

 

C’è poi una complicazione relativa alle liste: il leader della sinistra del Pd, l’europarlamentare Pierfrancesco Majorino, ha sette-otto esponenti, tra aspiranti, pretendenti e da riconfermare. Una pletora che cozza con le esigenze delle altre correnti. Infine, i temi. Che cosa si gioca Sala? Certo, può essere giudicato dall’operato, ma che sia un sindaco da riconfermare o un sindaco al primo mandato deve proporre idee per la città. I campi sono quelli già preannunciati: ambiente, diritti, transizione energetica. Poi ci sono i progetti veri e propri. Gli scali, ad esempio. Ormai Porta Romana è stato venduto, e quindi la rivoluzione per Milano è iniziata. Poi c’è la questione del prolungamento della metropolitana, su cui c’è da monitorare il timing e realizzazione e messa in opera. Poi ci sono le eterne periferie. L’avvocato Giuseppe Guzzetti, uno che ne capisce, dice che “Beppe Sala ha fatto tantissimo”. Però rimane moltissimo da fare. Magari rendendo visibile quello che è stato parcellizzato in una miriade di interventi diversi. C’è lo stadio. Sala se ne vorrà intestare politicamente il percorso oppure propenderà per una soluzione puramente amministrativa? Di certo, una volta avviato il percorso (che ormai pare scontato, Report o non Report), sarà uno dei temi fino al 2026. E poi le Olimpiadi. Ma il tema dei compagni d’avventura non è banale. E dei partiti pure. Anche perché quando la campagna diventerà dura il leitmotiv è già scritto. Il centrosinistra a chiedere ai milanesi se vogliono essere governati come la Regione nell’emergenza Covid; il centrodestra a chiedere ai milanesi se vogliono essere governati come lo stato da Giuseppe Conte. Tante interferenze nazionali, insomma, per quella che una volta era politica cittadina.

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