Luciano Canfora e Roberto Saviano - foto Ansa

L'opinione

Canfora e Saviano dovrebbero attaccare i magistrati anziché Meloni

Luciano Capone

I due querelati, tralasciando gli argomenti di merito, non dovrebbero temere il giudizio della magistratura: siamo in una fase di aperto scontro tra le toghe e il governo, per cui è davvero difficile ipotizzare una sorta di sudditanza dei giudici alla premier

Una trentina di associazioni democratiche, progressiste e partigiane hanno sottoscritto un appello in solidarietà del filologo Luciano Canfora, querelato da Giorgia Meloni, in vista dell’udienza del 16 aprile. La premier si è sentita diffamata perché, due anni fa, parlando in un liceo, Canfora ha detto agli studenti che Meloni “siccome è una neonazista nell’animo si è subito schierata con i neonazisti ucraini”. L’accusa, oltre a essere poco piacevole, è un pochino assurda dato che il capo dei neonazisti ucraini sarebbe l’ebreo Volodymyr Zelensky. Ma tralasciando gli argomenti di merito rispetto alla posizione sull’invasione dell’Ucraina da parte di uno storico comunista molto sensibile al ruolo storico dell’Unione sovietica, c’è un problema di metodo. Perché le associazioni hanno scritto che “il bersaglio ultimo dell’azione legale intrapresa dall’on. Meloni è il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di pensiero e di opinione”.

 

 

È, più o meno, lo stesso argomento usato da Roberto Saviano, condannato a mille euro di multa per aver definito “bastarda” Giorgia Meloni. Anche in quel caso, la tesi dello scrittore è che quello nei suoi confronti è un processo “sporco” e una “minaccia per tutti”, perché c’è un governo che porta in giudizio un intellettuale. Premettendo che la premier farebbe meglio a ritirare la querela, bisogna precisare che in entrambi i casi le sue denunce per diffamazione risalgono a quando era all’opposizione: nel caso di Saviano, il rinvio a giudizio è arrivato un anno prima che Meloni arrivasse a Palazzo Chigi e il gup che ha rinviato a giudizio lo scrittore è lo stesso che ha chiesto l’imputazione coatta del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, tra l’altro avvocato di Meloni in entrambe le querele a Saviano e Canfora.
 

Siamo peraltro in una fase di aperto scontro tra la magistratura e il governo per una serie riforme fortemente contestate dalle toghe. È davvero difficile ipotizzare una sorta di sudditanza dei giudici alla premier.
 

In ogni caso, i querelati e le associazioni democratiche che li supportano, proprio per rispetto dei principi costituzionali di separazione dei poteri e autonomia della magistratura in cui fortemente dicono di credere, non dovrebbero temere il giudizio della magistratura. Oppure, se davvero temono che sia in gioco “la libertà di pensiero e di opinione” non dovrebbero scagliarsi contro la premier “neonazista” ma contro il fascismo dei magistrati. Perché sono loro che hanno il potere di condannare, Meloni ha solo la facoltà di querelare.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali