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Contro i pm trasformati in influencer. I 4 “Sì” del giudice Mirenda

Annalisa Chirico

"I pubblici ministeri si atteggiano da superstar. L'Anm è la vera minaccia all’indipendenza della magistratura. La politica non ha interesse a cambiare le cose, anzi si bea dell’esistenza delle correnti".  Il magistrato di sorveglianza di Verona spiega le ragioni del referendum sulla giustizia e perché voterà a favore in 4 casi su 5

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“Per la magistratura, l’Anm rappresenta una minaccia ben più seria della riforma Cartabia che, se mi consente, è pericolosa quanto una cedrata Tassoni”, esordisce così al Foglio il magistrato di sorveglianza di Verona Andrea Mirenda, con tono risoluto e accorato insieme. “La legge in discussione in Parlamento è un pannicello caldo per la correntocrazia, l’Anm è la vera minaccia per l’indipendenza della magistratura”. Il 12 giugno lei, dottor Mirenda, voterà a favore dei quesiti referendari, promossi da Lega e Radicali. “Sì, concordo con quattro quesiti su cinque”. 

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“Per la magistratura, l’Anm rappresenta una minaccia ben più seria della riforma Cartabia che, se mi consente, è pericolosa quanto una cedrata Tassoni”, esordisce così al Foglio il magistrato di sorveglianza di Verona Andrea Mirenda, con tono risoluto e accorato insieme. “La legge in discussione in Parlamento è un pannicello caldo per la correntocrazia, l’Anm è la vera minaccia per l’indipendenza della magistratura”. Il 12 giugno lei, dottor Mirenda, voterà a favore dei quesiti referendari, promossi da Lega e Radicali. “Sì, concordo con quattro quesiti su cinque”. 

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Partiamo dalla separazione delle carriere. “Io sono giudice, mia moglie è pm, nessuno di noi si sogna di cambiare funzione. Le carriere vanno separate perché è giusto che il pm, come l’avvocato, dia del ‘lei’ al giudice. Quel che serve è la blindatura costituzionale della pubblica accusa, si scriva chiaramente che il pm è indipendente e soggetto soltanto alla legge, non all’esecutivo. Serve un Csm della magistratura requirente, dobbiamo rompere il rapporto gerarchico con il procuratore. Si ricorre a frasi retoriche per difendere l’unitarietà delle carriere, ci si appella alla cultura giurisdizionale che sarebbe così tutelata, ma dal punto di vista fattuale già oggi i togati che passano da una funzione all’altra rappresentano percentuali omeopatiche. La verità è che i pm sono veri influencer, si atteggiano da superstar, e mantenendo una casa comune noi garantiamo loro questo protagonismo mediatico. Sono i pm a rilasciare sempre interviste. Lei ha mai sentito parlare il presidente del tribunale di Milano? Nessuno lo conosce”. 

 

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Un quesito referendario riguarda i consigli giudiziari. “Ne ho fatto parte e dalla mia esperienza posso dire che gli avvocati forniscono un apporto prezioso. Una voce non corporativa in seno al consiglio offre un contributo conoscitivo. Il timore di chi si oppone dimostra quanto la magistratura sia ripiegata su se stessa perché il voto dell’avvocato ha un impatto minimo sul giudizio finale. Il giudice, come regola prima, deve accettare di essere giudicato. Se sei in cima alla piramide, devi accettare il giudizio di tutti”. 

 

Lei si è dimesso dalla presidenza della sezione fallimentare del Tribunale per occuparsi di detenuti. Scelta irrituale. “Ho fatto carriera al contrario, mi sono autoimposto un downgrade, per evidenziare quanto sia bello lavorare in magistratura, in qualunque ruolo, anche se al nostro interno il mestiere del magistrato di sorveglianza è ritenuto, forse a torto, il meno prestigioso”. Lei però è contrario al quesito che limita il ricorso alla custodia cautelare dietro le sbarre. “Il carcere non è la panacea ma, in presenza di soggetti ritenuti socialmente pericolosi, serve a garantire la sicurezza sociale nelle more di un procedimento. Il disarmo dello stato può provocare reazioni di giustizia fai da te. Al legislatore suggerirei piuttosto una robusta opera di depenalizzazione. Abbiamo troppe fattispecie criminose che mettono in crisi l’obbligatorietà dell’azione penale. Perseguire ogni notizia di reato è umanamente impossibile”. 

 

Un altro quesito riguarda l’incandidabilità delle persone condannate in primo grado. “Sono contrario agli automatismi che escludono un cittadino dalla vita politica perché rappresentano una china preoccupante. Bisogna valutare la pericolosità concreta di un soggetto e poi lasciare che i cittadini scelgano attraverso l’esercizio del voto. Esisteva un’Italia repubblicana anche prima della cosiddetta ‘legge Severino’, non vivevamo nel Far West”. 

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Secondo lei il quorum si raggiunge? “Sarà difficile ma, se pure il 3 per cento degli italiani dovesse esprimersi a favore del cambiamento, sarebbe un segnale importante per la politica. Non si può ragionare soltanto di legge Cartabia, una legge che peraltro non incide né sulla correntocrazia né sulla degenerazione del Csm, ridotto a un nominificio in mano a quattro associazioni di diritto privato. Lo ha ricordato recentemente anche Nicola Gratteri”.

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Lei però faceva parte di Md fino al 2008. “Mi sono dimesso, sono uscito anche dall’Anm che è la vera minaccia all’indipendenza della magistratura. Ha visto l’adesione allo sciopero contro la riforma Cartabia? Oltre la metà non ha aderito. Io l’ho detto: non sciopero con voi perché Cartabia è pericolosa quanto una cedrata Tassoni. Voi dell’Anm siete molto più pericolosi”. Lei critica il correntismo sulla base dell’esperienza, insomma. “Le correnti sono lo strumento di penetrazione e influenza della politica all’interno di dell’Anm e del Csm. La politica non ha interesse a cambiare le cose, anzi si bea dell’esistenza delle correnti. L’attuale presidente dell’Anm era un mandarino in servizio al ministero di via Arenula, e come lui molti altri. I procuratori di Napoli, Milano, Perugia vanno in pensione e, un attimo dopo, li ritroviamo engagé in qualche organo di nomina politica. Pensare che 8 mila giudici fermino il Parlamento è una ingenuità clamorosa: tra magistratura e politica c’è un concerto di amorosi intenti”. 
Annalisa Chirico

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