Toghe in sciopero? Sabato la decisione dell'Anm, che intanto attacca Cartabia

Ermes Antonucci

Sarà l’assemblea straordinaria dell’Associazione nazionale magistrati a decidere se proclamare l'astensione contro la riforma Cartabia dell'ordinamento giudiziario e del Csm. Intanto il sindacato delle toghe ha acquistato delle pagine intere sui giornali per attaccare il ddl  

Prende sempre più quota, ma con estrema cautela, l’opzione della proclamazione di uno sciopero dei magistrati contro la riforma Cartabia dell’ordinamento giudiziario e del sistema elettorale del Csm (riforma ancora sotto l’esame del Parlamento). A decidere sarà l’assemblea straordinaria convocata sabato a Roma dall’Associazione nazionale magistrati. I vertici del sindacato delle toghe hanno deciso, per la prima volta, di aprire le porte ai partiti, invitando i responsabili giustizia delle forze politiche (dovrebbero partecipare Giulia Sarti del M5s, Anna Rossomando del Pd, Giulia Bongiorno della Lega ed Enrico Costa di Azione). Lo scopo dichiarato è di coinvolgerli nella discussione e far comprendere loro le ragioni della preoccupazione della magistratura.

 

Di certo, però, non si può dire che l’Anm abbia preparato il terreno per un dialogo pacato. Proprio venerdì, infatti, l’associazione ha acquistato delle pagine intere su alcuni quotidiani nazionali per protestare contro la riforma, definita “sbagliata” e finalizzata a “intimidire i magistrati”. Una vera e propria entrata a gamba tesa nel campo della politica, che ancora sta discutendo il testo in questione (dopo l’ok della Camera, il ddl è passato al Senato).

 

L’iniziativa “editoriale” dell’Anm sorprende per svariati motivi. Per la tempistica, innanzitutto, non solo perché giunge il giorno prima di un’assemblea che si pone come scopo quello di dialogare con la politica, ma anche perché non si ricordano simili comunicazioni all’opinione pubblica da parte dell’Anm ai tempi dello scandalo Palamara e delle correnti (le stesse che animano l’Anm). Nessun “scusate, abbiamo sbagliato, affronteremo il problema delle degenerazioni del correntismo” venne rivolto ai cittadini dall’Anm tre anni fa, quando venne pienamente alla luce l’esistenza di un sistema di spartizione e lottizzazione da parte delle correnti degli incarichi dei magistrati.

 

Si arriva così al paradosso, allo scollamento totale delle toghe dalla realtà e dai sentimenti di sfiducia che animano l’opinione pubblica verso l’ordine giudiziario: “La riforma dell’ordinamento giudiziario era stata annunciata per combattere il correntismo, ma è diventata una legge per intimidire i magistrati”, afferma l’Anm nella comunicazione a pagamento. Cioè, le correnti accusano la politica di non aver risolto il problema del correntismo. Verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.

 

La seconda ragione per la quale l’attacco dell’Anm contro la riforma Cartabia appare sorprendente riguarda proprio i contenuti del comunicato, che poi sono gli stessi invocati dal sindacato delle toghe quando minaccia lo sciopero. La riforma “esaspera la competizione fra i colleghi”, “si applicano criteri manageriali agli uffici giudiziari, facendo prevalere logiche di tipo aziendalistico, basate esclusivamente sui numeri e sulla produttività”, accusa l’Anm. Ma la riforma dell’ordinamento giudiziario, peraltro giudicata blanda da tutti i giuristi, non fa altro che provare ad affrontare il grave problema della lentezza dei processi (che pone il nostro paese agli ultimi posti nelle classifiche europee), attribuendo ai capi degli uffici giudiziari il compito di programmare in maniera più efficace la gestione dei procedimenti, predisporre piani di smaltimento degli arretrati, monitorare l’attività. Dove sarebbe la deriva “aziendalistica”? Nell’obbligo, per i capi degli uffici giudiziari, di intervenire nel caso in cui le pendenze dell’ufficio o di una sezione aumentino “in misura superiore al 10 per cento rispetto all’anno precedente”?

 

Ancor meno comprensibile alle orecchie del cittadino risultano essere le critiche dell’Anm ai nuovi meccanismi di valutazione di professionalità dei magistrati. “Il vizio di fondo – afferma l’associazione nella nota – è pensare che se una sentenza venga riformata nei successivi gradi di giudizio, o se un’istanza cautelare del pm non trovi accoglimento, ciò sia da ricollegare a un errore del magistrato, che per ciò solo vada sanzionato, quanto meno sul piano della valutazione della sua professionalità”. Ma la riforma non prevede affatto una valutazione sui singoli procedimenti portati avanti dal magistrato, ma solo la verifica della presenza di gravi anomalie nel corso della sua carriera (se un pm imbastisce dieci processi e tutti e dieci si rivelano infondati, sarà un dato da prendere in considerazione per la sua valutazione professionale, o no?).

  

Insomma, non è solo l’iniziativa editoriale dell’Anm, ma anche la minaccia di sciopero ad apparire surreale. Vedremo sabato se le toghe avranno il coraggio di andare fino in fondo.