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il processo

Trattativa: "La sentenza guarda i fatti, senza pregiudizi". Parla l'avvocato di Mori

Ermes Antonucci

"Ho visto dei giudici onesti, preparati, scrupolosi, attenti", dice l'avvocato Basilio Milio. "Dopo 20 anni di accanimenti spero finisca qui"

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“Le confesso che questa è stata la prova più dura”, dichiara al Foglio l’avvocato Basilio Milio, legale del generale Mario Mori, prima di scoppiare in lacrime. La corte d’assise d’appello di Palermo ha appena assolto il generale Mori nel processo d’appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, insieme ai colleghi del Ros, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, e all’ex senatore Marcello Dell’Utri. In primo grado erano stati tutti condannati a pene pesantissime con l’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato (dodici anni di reclusione per Mori, Subranni e Dell’Utri, otto per De Donno). Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro novanta giorni, ma il verdetto dei giudici d’appello, considerata anche la conferma delle condanne per i boss Leoluca Bagarella (ridotta da 28 a 27 anni di reclusione) e Antonio Cinà (12 anni), è chiaro: attraverso le stragi del 1992 e 1993, Cosa nostra minacciò le istituzioni dello Stato, ma queste non si piegarono a patti. Non ci fu nessuna trattativa.

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“Le confesso che questa è stata la prova più dura”, dichiara al Foglio l’avvocato Basilio Milio, legale del generale Mario Mori, prima di scoppiare in lacrime. La corte d’assise d’appello di Palermo ha appena assolto il generale Mori nel processo d’appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, insieme ai colleghi del Ros, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, e all’ex senatore Marcello Dell’Utri. In primo grado erano stati tutti condannati a pene pesantissime con l’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato (dodici anni di reclusione per Mori, Subranni e Dell’Utri, otto per De Donno). Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro novanta giorni, ma il verdetto dei giudici d’appello, considerata anche la conferma delle condanne per i boss Leoluca Bagarella (ridotta da 28 a 27 anni di reclusione) e Antonio Cinà (12 anni), è chiaro: attraverso le stragi del 1992 e 1993, Cosa nostra minacciò le istituzioni dello Stato, ma queste non si piegarono a patti. Non ci fu nessuna trattativa.

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“La verità prima o poi emerge – afferma l’avvocato Milio – Questa sentenza va nel solco delle altre sette pronunce che l’hanno preceduta e che riconoscono la correttezza dell’operato dei carabinieri, del generale Mori, del colonnello De Donno”. Milio si riferisce alle sentenze, passate in giudicato, che nel corso degli anni hanno riconosciuto l’estraneità del generale Mario Mori alle accuse di favoreggiamento alla mafia in relazione alla ritardata perquisizione del covo di Riina e alla mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso. A queste si aggiunge la sentenza, anch’essa definitiva, che nel processo stralcio sulla fantomatica trattativa ha assolto l’ex ministro Calogero Mannino, cioè colui che secondo i pm avrebbe svolto il ruolo di promotore della trattativa tra i carabinieri del Ros e Cosa nostra. La sentenza aveva demolito la tesi dei pm, definendola “non solo infondata, ma anche totalmente illogica ed incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti”. “Sono sette sentenze tutte sulla stessa lunghezza d’onda – commenta l’avvocato Milio – Negano l’esistenza della trattativa, riconoscono che i contatti tra i carabinieri e Vito Ciancimino erano finalizzati a reperire informazioni per catturare i latitanti e non a fare chissà quali trattative. Riconoscono, in altre parole, la legittimità del loro operato”.


Un verdetto, quello della corte d’assise d’appello, tutt’altro che scontato, soprattutto se si considera il bombardamento mediatico che in tutti questi anni ha alimentato il mito della “trattativa” formulato dalla procura di Palermo. Bombardamento a cui non saranno stati immuni neanche i giudici popolari che con i togati componevano la corte d’appello. “Ho visto dei giudici onesti, preparati, scrupolosi, attenti – dice Milio – Alla fine, quando si guardano i fatti e non le suggestioni e i pregiudizi, questi sono i risultati per fortuna. Ancora esiste il diritto in questo paese”. 


“Da parte del generale Mori e del colonnello De Donno c’è sempre stata la serenità derivante dall’essere consapevoli della propria innocenza e dall’essere in pace con la propria coscienza. Dall’altro lato, c’è l’amarezza per questo accanimento nei loro confronti. Le confesso che questa è stata la prova più dura, perché ti scontri contro i pregiudizi e a un certo punto ti chiedi se veramente la giustizia esista”, afferma Milio prima di scoppiare in lacrime. Il lungo procedimento penale ha provato anche lui. Un primo cedimento alla commozione da parte del legale di Mori si era registrato proprio nell’arringa difensiva finale, prima che la corte si ritirasse in camera di consiglio. “Perché si continua con questo accanimento contro una persona che per tutta la vita ha servito fedelmente questo ingrato paese”, si era chiesto Milio, chiedendo l’assoluzione per Mori per l’assoluta inesistenza di prove a sostegno delle accuse. 

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Non è detto, però, che il calvario ora sia finito. “Visto che la persecuzione contro il generale Mori va avanti da un ventennio, spero che finisca qui. Ovviamente aspetteremo e vedremo se ci sarà un ricorso da parte della procura generale”, dichiara Basilio Milio. Essendo ben noto l’impegno speso da dieci anni dai pm palermitani nel portare avanti il teorema della trattativa, c’è da immaginare che la partita non sia finita. A danno, ancora una volta, dell’onorabilità di uomini che hanno dedicato la loro vita alla difesa delle istituzioni. 
 

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