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Perché sarebbe un guaio se si accertasse che Davigo ha agito senza violare le regole

Luciano Capone

Se la gestione privatistica dei verbali secretati di Amara, poi finiti ai giornali, da parte di un consigliere del Csm fosse ritenuta normale dalla magistratura nelle sue articolazioni, sarebbe la certificazione che non ci troviamo di fronte a una patologia del sistema ma, peggio, di fronte alla fisiologia di un sistema nocivo

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L’ennesimo scandalo nella magistratura e nel suo organo di autogoverno ci mostra un quadro spaventoso del funzionamento della giustizia in Italia: indagini non avviate, scontri nelle procure, presunte logge e veri “corvi” nel Csm, verbali secretati passati di mano fino ad arrivare nella buca delle lettere dei giornali, gestione personalistica di atti al di fuori di qualsiasi procedura trasparente. E’ tremendamente ipocrita per chiunque ricorrere alla formula “ho fiducia nella giustizia” se i primi a diffidare gli uni degli altri, fino a precipitare in una guerra di dossier, sono gli stessi sacerdoti del sancta sanctorum della giustizia.

 

La vicenda, brevemente, è questa. Il pm di Milano Paolo Storari raccoglie le dichiarazioni dell’ex legale esterno dell’Eni Piero Amara sull’esistenza di una loggia di cui farebbero parte anche importanti magistrati. Dato che il procuratore di Milano Francesco Greco rallentava il corso dell’indagine, probabilmente per non inficiare il processo in corso sull’Eni (che la procura ha comunque perso), Storari si è rivolto informalmente all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo per denunciare l’inerzia di Greco e “autotutelarsi”. Davigo, a sua volta, avrebbe tenuto per sé questi verbali informando, sempre informalmente, il vicepresidente del Csm David Ermini e il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi di contrasti nella procura di Milano. Infine, l’ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, è indagata per aver inviato copia dei verbali secretati ai giornali. Ha fatto tutto da sola? Davigo poteva non sapere? E’ possibile, anche se la smentita di Davigo riportata dalla Stampa è inquietante: “Certo se l’avessi fatto io non l’avrebbero mai scoperto”. Ricorda un po’ l’alibi di Putin sull’avvelenamento di Alexei Navalny (“Se l’avessimo fatto noi, avremmo portato a termine il lavoro”).

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Ma più in generale, rispetto a questa vicenda gestita con metodi informali, ci sono due possibili esiti. Uno è quello prospettato dal Pg di Cassazione Salvi, secondo cui “né io né il mio ufficio abbiamo mai avuto conoscenza della disponibilità da parte del cons. Davigo o di altri di copie di verbali di interrogatorio resi da Piero Amara alla Procura di Milano. Si tratta di per sé di una grave violazione dei doveri del magistrato, ancor più grave se la diffusione anonima dei verbali fosse da ascriversi alla medesima provenienza”. L’altro è la versione di Davigo, secondo cui non c’è stato nulla di irrituale: “Storari per tutelarsi ha informato una persona che conosceva e io ho ritenuto di informare chi di dovere”.

 

E rispetto a questi due scenari contrapposti, a preoccupare di più non deve essere se ha ragione Salvi, se cioè ci sono state gravi violazioni delle norme, ma se davvero tutto questo fosse consentito dalle regole come sostiene Davigo. Se cioè è normale che un consigliere e capocorrente del Csm possa ricevere informalmente da pm amici documenti coperti da segreto, e che possa gestire queste informazioni riservate senza atti e passaggi formali secondo una concezione quasi privatistica della giustizia che si consuma, come atto finale, con l’invio di plichi ai giornali. Se tutto questo fosse ritenuto normale sarebbe la certificazione che non ci troviamo di fronte a una patologia del sistema ma, peggio, di fronte alla fisiologia di un sistema nocivo.

 

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