Angelo Giorgianni, in una foto d'archivio del 2002 (LaPresse) 

Editoriali

Il Csm e il caso Giorgianni

Redazione

Un magistrato negazionista del Covid e il decoro della magistratura

Mario Draghi ha affrontato la questione con humour: “Fossero eminenti virologi, oppure epidemiologi... m’avesse detto uno scienziato, forse l’avrei letto...”. La domanda in conferenza stampa era sul libro, di cui ha parlato il Foglio, scritto dal magistrato Angelo Giorgianni e dal medico Pasquale Bacco, con prefazione del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che nega la letalità del Covid, parla di “Strage di Stato”, complotti globali e mette in guardia dalla pericolosità dei vaccini. Uno dei due autori arriva a dire pubblicamente che i vaccini sono “acqua di fogna”. Che il presidente del Consiglio liquidi la vicenda con una battuta è naturale, anche perché la magistratura non rientra sotto la sua sfera di potere e autorità.

 

C’è però un organo costituzionale deputato a occuparsene, al cui vertice c’è il Presidente della Repubblica, ed è il Consiglio superiore della magistratura. Perché non ci troviamo semplicemente di fronte a un magistrato, in servizio presso la Corte di Appello di Messina, negazionista (ritiene il Covid “una banale influenza”) e antivaccinista (afferma che i vaccini possono “trasformarci in Ogm” e “determinare la sterilità nell’uomo”). E già questo, rispetto agli oltre 100 mila morti e al dramma economico del paese, meriterebbe una censura. Ma siamo di fronte a un giudice, Giorgianni, che sulla base di alcune teorie farneticanti, secondo cui “questa pandemia è uno strumento di ingegneria sociale che serve per realizzare un colpo di stato globale”, ha denunciato lo stato italiano alla Corte Penale Internazionale dell’Aia per “crimini contro l’umanità”. Cioè, in Italia c’è un magistrato negazionista del Covid che con un atto formale accusa il suo datore di lavoro di crimini contro l’umanità. La situazione, pur non essendo affatto seria, è estremamente grave. E il Csm dovrebbe occuparsene.

 

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