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I cinque anni di gogna di Lorenzo Diana

Ermes Antonucci

Archiviato il caso dell'ex segretario della commissione Antimafia che venne accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Oggi si chiede: “Come rimedierò al fango che mi hanno gettato addosso?”

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E’ finito dopo cinque anni e mezzo il calvario mediatico-giudiziario di Lorenzo Diana, tre volte parlamentare per il centrosinistra dal 1994 al 2006, ex segretario della commissione Antimafia, paladino della lotta alla criminalità organizzata, costretto a vivere sotto scorta per vent’anni a causa delle minacce di morte dei casalesi. Nel luglio 2015 nei suoi confronti si era abbattuta l’accusa più infamante per un simbolo della lotta alle cosche: concorso esterno in associazione mafiosa. Per l’allora pm della Dda di Napoli, Catello Maresca, Diana aveva agito da “facilitatore” di un presunto patto tra la coop Cpl Concordia e i clan mafiosi nel progetto di metanizzazione dell’agro aversano. Dopo quattro anni di sofferenze e umiliazioni, nel maggio 2019 Diana ha ottenuto l’archiviazione della propria posizione su richiesta della stessa procura. L’accusa si basava sulle rivelazioni di due pentiti, poi rivelatesi del tutto infondate. Pochi giorni fa si è chiuso con un’archiviazione anche l’altro filone di indagine che vedeva coinvolto Diana, incentrato su un presunto abuso d’ufficio compiuto dall’ex senatore in qualità di amministratore del Centro agroalimentare di Napoli. Per questa accusa, Diana era stato interdetto per un anno dai pubblici uffici e aveva subìto un divieto di dimora in Campania.

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E’ finito dopo cinque anni e mezzo il calvario mediatico-giudiziario di Lorenzo Diana, tre volte parlamentare per il centrosinistra dal 1994 al 2006, ex segretario della commissione Antimafia, paladino della lotta alla criminalità organizzata, costretto a vivere sotto scorta per vent’anni a causa delle minacce di morte dei casalesi. Nel luglio 2015 nei suoi confronti si era abbattuta l’accusa più infamante per un simbolo della lotta alle cosche: concorso esterno in associazione mafiosa. Per l’allora pm della Dda di Napoli, Catello Maresca, Diana aveva agito da “facilitatore” di un presunto patto tra la coop Cpl Concordia e i clan mafiosi nel progetto di metanizzazione dell’agro aversano. Dopo quattro anni di sofferenze e umiliazioni, nel maggio 2019 Diana ha ottenuto l’archiviazione della propria posizione su richiesta della stessa procura. L’accusa si basava sulle rivelazioni di due pentiti, poi rivelatesi del tutto infondate. Pochi giorni fa si è chiuso con un’archiviazione anche l’altro filone di indagine che vedeva coinvolto Diana, incentrato su un presunto abuso d’ufficio compiuto dall’ex senatore in qualità di amministratore del Centro agroalimentare di Napoli. Per questa accusa, Diana era stato interdetto per un anno dai pubblici uffici e aveva subìto un divieto di dimora in Campania.

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“Per cinque anni e mezzo la mia vita privata, sociale, politica e istituzionale è stata sospesa – racconta Diana al Foglio – Nessuno mi potrà restituire questi cinque anni e mezzo. Ma può la vita di un cittadino essere sospesa per un semplice avviso di garanzia?”. “All’inizio ho fatto fatica a crederci, anche perché per quindici anni avevo combattuto per il mio territorio, al fianco delle forze dell’ordine, dei magistrati, delle istituzioni. Passare da un giorno all’altro da simbolo della lotta alla mafia a sospetto colluso è stato terrificante”, aggiunge l’ex senatore. “Per affrontare le spese legali ho dovuto vendere due immobili. Una sera ho dovuto fare le valigie in mezz’ora perché dovevo abbandonare la Campania. Queste sono cicatrici che non scompariranno mai”.

 

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Per l’ex simbolo antimafia, la vicenda che lo ha visto protagonista dovrebbe imporre riflessioni su diversi fronti. “La mia rabbia è prima di tutto nei confronti del legislatore, che non trova il modo di fare una seria riforma della giustizia per renderla efficiente e garantista”, spiega Diana. “Una seconda riflessione si impone alla stessa magistratura. C’è un uso abnorme delle misure cautelari e la lentezza del sistema giudiziario determina una sospensione lunghissima dei diritti di molti cittadini. E’ normale che un procedimento venga archiviato cinque anni dopo un avviso di garanzia? Se invece di essere archiviato fossi finito a processo, il mio calvario giudiziario sarebbe durato più di un decennio”. Un’ulteriore riflessione si impone agli organi di informazione: “L’avviso di garanzia si è trasformato in una sentenza di condanna mediatica, senza possibilità di appello e di difesa. Quale spazio mi sarà offerto ora per pareggiare il conto del fango mediatico che mi è stato gettato addosso in tutti questi anni?”, si chiede Diana, che non risparmia critiche neanche al mondo dell’associazionismo antimafia, che durante la vicenda giudiziaria lo ha abbandonato. “Qualcuno mi ha sostenuto, ma in tanti hanno preferito l’attendismo e l’allontanamento. L’esaltazione acritica della magistratura fa un brutto servizio allo stesso mondo antimafia. Tutti i corpi istituzionali sono fatti di essere umani, sono luoghi di potere, pertanto soggetti a tutte le contraddizioni umane. Se persino il Papa ha dovuto fare pulizia fra i cardinali, che sono votati alla santità, figuriamoci se possono essere esenti da fenomeni del genere gli altri corpi, compresa la magistratura. Bisognerebbe avere una visione più realista ed esercitare fino in fondo il principio di presunzione di innocenza”. La vicenda che ha travolto Diana, tuttavia, rischia di avere risvolti ancora più paradossali. Uno dei pm che ha svolto le indagini nei suoi confronti, poi finite nel nulla, vale a dire Catello Maresca (oggi sostituto procuratore generale della Corte d’appello di Napoli), sembra infatti destinato a diventare il candidato sindaco di Napoli per il centrodestra. “Mi astengo dal valutare le scelte personali del dottor Maresca – afferma Diana – Resto convinto, però, che i magistrati non dovrebbero candidarsi nel territorio in cui hanno esercitato il proprio ruolo, fosse anche per un solo giorno”.

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