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Non può essere un pm a stabilire cosa è un partito e cosa non lo è

Ermes Antonucci

Reati soggettivi e perimetri arbitrari. Il caso Open riguarda più il futuro della democrazia che il futuro degli indagati famosi

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Fondazione politica o “articolazione di partito”? Ruota tutto intorno a questa domanda il presunto scandalo che ha travolto l’ex fondazione renziana Open, da alcuni giorni di nuovo al centro dell’attenzione mediatica, con annesse fughe di notizie (in teoria) coperte dal segreto investigativo. L’inchiesta portata avanti dalla procura di Firenze vede ora indagati, oltre ad Alberto Bianchi e Marco Carrai (ex presidente e membro del consiglio direttivo della fondazione), anche l’ex premier Matteo Renzi, l’ex ministra Maria Elena Boschi e l’attuale deputato del Pd, Luca Lotti, con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti.

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Fondazione politica o “articolazione di partito”? Ruota tutto intorno a questa domanda il presunto scandalo che ha travolto l’ex fondazione renziana Open, da alcuni giorni di nuovo al centro dell’attenzione mediatica, con annesse fughe di notizie (in teoria) coperte dal segreto investigativo. L’inchiesta portata avanti dalla procura di Firenze vede ora indagati, oltre ad Alberto Bianchi e Marco Carrai (ex presidente e membro del consiglio direttivo della fondazione), anche l’ex premier Matteo Renzi, l’ex ministra Maria Elena Boschi e l’attuale deputato del Pd, Luca Lotti, con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti.

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Come prima cosa occorre sgombrare il campo da possibili confusioni forcaiole: nessuna persona indagata nell’inchiesta Open è accusata di aver ricevuto soldi di nascosto. Tutti i finanziamenti ricevuti da Open tra il 2012 e il 2018 (anno in cui la fondazione è stata chiusa) sono stati effettuati con bonifico, con indicazione di nomi e cognomi, e in maniera tracciabile. Alcuni organi di informazione hanno posto l’attenzione sulla mancata indicazione sul sito di Open dell’identità di alcuni finanziatori. In verità, era la normativa sulla privacy allora in vigore a vietare l’indicazione dei nomi e delle donazioni delle persone fisiche che non avevano autorizzato la diffusione dei loro dati. La normativa è stata modificata solo successivamente con la legge Spazzacorrotti, quando Open era già stata chiusa. Secondo i pm, Open non avrebbe agito come una fondazione politica, ma come una “articolazione di partito”, finanziando iniziative a sostegno del Pd e di suoi esponenti (Renzi, Boschi, Lotti), rimborsando anche alcune spese ai parlamentari e mettendo a disposizione carte di credito, quindi eludendo le norme che regolano il finanziamento privato ai partiti.

 

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 Accogliendo il ricorso dei legali di Carrai contro il sequestro di documenti e pc, la Cassazione ha già bocciato duramente le accuse dei pm, sottolineando che per poter equiparare la fondazione a un’articolazione di partito “è necessario non solo dar conto di erogazioni o contribuzioni in favore del partito, ma anche del fatto che la reale funzione di esso, al di là di quanto in apparenza desumibile dalla cornice statutaria, possa dirsi corrispondente a quella di uno strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti, in assenza di una sua effettiva diversa operatività”.

 

Negli anni in cui la fondazione ha operato le norme di riferimento erano quelle previste dal decreto legge n. 149 del 2013, quello che ha eliminato i rimborsi pubblici ai partiti e che stabiliva un principio: gli obblighi di trasparenza in capo ai partiti non si applicano anche alle fondazioni, a meno che queste non contribuiscano alla sopravvivenza dei partiti “per più del 10 per cento dei propri proventi di esercizio”. Il punto è che i rimborsi effettuati da Open per le spese sostenute da Renzi o da altri parlamentari costituirebbero soltanto una minima parte delle risorse utilizzate dalla fondazione, di gran lunga inferiore alla soglia del 10 per cento. La quasi totalità delle risorse raccolte da Open sarebbe stata utilizzata per organizzare le edizioni della Leopolda. Una manifestazione di certo non legata ad alcun partito: sarebbe sufficiente ricordare le polemiche emerse ogni anno per l’assenza di bandiere del Pd (nel 2013 ad esempio l’allora segretario del Pd, Guglielmo Epifani, disse: “La manifestazione dei renziani alla Leopolda è stata organizzata da una fondazione e non dal Pd. Ma una bandiera del partito l’avrei messa”).

 

Insomma, l’intera vicenda giudiziaria sembra ruotare attorno ad alcune definizioni fondamentali: quando un’associazione politica può definirsi “fondazione” e quando “articolazione di partito”? Il fatto che sia la magistratura, anziché la politica (che tace), a voler stabilire questi confini rende evidente come il caso Open ponga in questione non tanto la posizione di alcuni indagati eccellenti, quanto il futuro della nostra democrazia.

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