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Il caso

Bonafede non vuole fare luce sulle torture in carcere

David Allegranti

Il ministro della Giustizia sceglie di non costituirsi parte civile nel procedimento sui 5 agenti di polizia penitenziaria accusati del reato di torture nel carcere di San Gimignano

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Nel 2020 le prigioni italiane continuano a essere un posto molto brutto. I detenuti non rischiano soltanto di patire le conseguenze dell’emergenza sanitaria (il carcere si trova a suo agio con il lockdown, che lo rende ancora più impermeabile), ma anche le violenze della polizia penitenziaria. Questa è quantomeno l’accusa a carico di 5 agenti nel carcere di Ranza, a San Gimignano, per fatti risalenti al 2018. All’epoca c’era ancora ministro dell’Interno Matteo Salvini, che solidarizzò con gli agenti accusati del reato di tortura, senza minimamente porsi qualche domanda sull’accaduto.

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Nel 2020 le prigioni italiane continuano a essere un posto molto brutto. I detenuti non rischiano soltanto di patire le conseguenze dell’emergenza sanitaria (il carcere si trova a suo agio con il lockdown, che lo rende ancora più impermeabile), ma anche le violenze della polizia penitenziaria. Questa è quantomeno l’accusa a carico di 5 agenti nel carcere di Ranza, a San Gimignano, per fatti risalenti al 2018. All’epoca c’era ancora ministro dell’Interno Matteo Salvini, che solidarizzò con gli agenti accusati del reato di tortura, senza minimamente porsi qualche domanda sull’accaduto.

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Due anni dopo – governo diverso, maggioranza diversa, ma stesso ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede – le cose non sono cambiate. Il ministero della Giustizia, tramite avvocatura dello Stato, ha presentato l’atto di costituzione, all’interno del procedimento per i reati contestati agli agenti, contro L’Altro diritto, l’associazione Garante delle persone private della libertà personale del Comune San Gimignano, che si era costituita parte civile (il Ministero ne ha chiesto l’esclusione dal procedimento). La prima udienza c’è stata il 10 settembre, la prossima ci sarà il 5 novembre. Al ministro Bonafede evidentemente però l’accertamento dei fatti pare poco importante. Avrebbe potuto infatti costituirsi direttamente lui parte civile in quanto  persona offesa, visto che gli agenti di polizia penitenziaria sono dipendenti del suo ministero, ma ha scelto di non farlo.

 

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E’ stato dunque costretto dall’Altro diritto, che l’ha chiamato a responsabile civile. Per intenderci, la differenza sta nel fatto che la parte civile costituita insite per la condanna degli imputati, mentre il responsabile civile siede accanto agli imputati, essendo obbligato in solido all’eventuale risarcimento del danno alla parte civile stessa. Non è un dettaglio secondario: l’Altro, diritto come associazione, è Garante delle persone private della libertà personale al carcere di San Gimignano, ha il compito di assumere, come figura autonoma e nel rispetto del principio di indipendenza, “ogni iniziativa a tutela dei diritti delle persone detenute, anche negli istituti penitenziari, ponendo in essere ogni azione necessaria ad assicurare il diritto alla salute e il miglioramento della qualità della vita degli stessi, sollecitando le amministrazioni competenti affinché assumano le iniziative volte ad assicurare i diritti fondamentali delle persone ristrette, segnalando i fattori di rischio o di danno di cui venga a conoscenza e intervenendo nei confronti delle strutture e degli enti competenti in caso di inosservanze che compromettano l’erogazione delle prestazioni inerenti i diritti delle persone ristrette, come meglio specificato dall’articolo 3 del Regolamento del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale approvato con deliberazione del Consiglio comunale di San Gimignano n. 19 del 21.03.2012”.

 

Quello di San Gimignano non è l’unico caso. Di recente, alcuni giornali – Domani e il Riformista – hanno affrontato a lungo la storia delle presunte torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove circa 300 agenti avrebbero fatto parte di una spedizione punitiva contro i detenuti. Ma in totale i procedimenti in corso per episodi di tortura in cui sarebbero implicati agenti di polizia penitenziario sono otto: San Gimignano, Monza, Torino, Milano, Melfi, Santa Maria Capua Vetere, Palermo, Pavia. Insomma, se il ministero della Giustizia volesse approfondire la questione avrebbe di che lavorare. Purtroppo.

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