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Editoriali

Il Palamara espiatorio

Redazione

La radiazione chiesta dalla Cassazione e le continue ipocrisie del Csm

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La procura generale della Cassazione ha chiesto al Consiglio superiore della magistratura di condannare Luca Palamara alla sanzione massima prevista per le toghe: la rimozione dall’ordine giudiziario. Il pm romano, sospeso e imputato per corruzione a Perugia, è sotto processo di fronte alla sezione disciplinare del Csm, accusato di comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei colleghi che concorrevano per il posto di procuratore di Roma e di una strategia di discredito nei confronti del procuratore aggiunto della Capitale, Paolo Ielo. Insomma, la condanna esemplare del capro espiatorio sembra essere la soluzione individuata dalla magistratura per superare la crisi senza precedenti scoppiata un anno fa, ed eludere così ogni forma di riflessione critica sui veri nodi che si celano dietro alle degenerazioni correntizie nelle nomine dei vertici degli uffici giudiziari sparsi per il paese.

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La procura generale della Cassazione ha chiesto al Consiglio superiore della magistratura di condannare Luca Palamara alla sanzione massima prevista per le toghe: la rimozione dall’ordine giudiziario. Il pm romano, sospeso e imputato per corruzione a Perugia, è sotto processo di fronte alla sezione disciplinare del Csm, accusato di comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei colleghi che concorrevano per il posto di procuratore di Roma e di una strategia di discredito nei confronti del procuratore aggiunto della Capitale, Paolo Ielo. Insomma, la condanna esemplare del capro espiatorio sembra essere la soluzione individuata dalla magistratura per superare la crisi senza precedenti scoppiata un anno fa, ed eludere così ogni forma di riflessione critica sui veri nodi che si celano dietro alle degenerazioni correntizie nelle nomine dei vertici degli uffici giudiziari sparsi per il paese.

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Il primo fra tutti è la sostanziale inesistenza di quel principio di obbligatorietà dell’azione penale previsto dalla nostra Costituzione. Se le manovre spartitorie tra le correnti, e tra quest’ultime ed esponenti della politica, si concentrano (e continueranno a concentrarsi) sulle nomine dei procuratori capo è perché è ormai evidente da tempo che le procure esercitano un’azione palesemente discrezionale. Di fronte all’impossibilità di dare seguito all’obbligatorietà dell’azione penale (“un feticcio”, come lo definì Giovanni Falcone), sono gli stessi procuratori capo ormai a stabilire le priorità dell’azione penale dei propri uffici e a decidere quali indagini meritano di essere portate avanti e quali, invece, di essere lasciate indietro.

 

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Siamo di fronte a scelte discrezionali in materia di politica criminale, dunque a scelte di natura politica, che inevitabilmente attirano le attenzioni di chi in teoria dovrebbe essere titolare di questo potere, vale a dire la classe politica (con cui le correnti negoziano da sempre, di certo non solo attraverso incontri notturni in hotel). In un paese normale, il dibattito nella magistratura si occuperebbe di questo e non di individuare un capro espiatorio da sacrificare, per lasciare tutto immutato.

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