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editoriali

Alla Consulta non servono carnevalate

redazione

La presenza di un presidente fantasma è un danno per il paese e per la Corte

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Resterà in carica per meno di tre mesi il nuovo presidente della Corte costituzionale, Mario Rosario Morelli, 79 anni, eletto mercoledì dai suoi colleghi alla Consulta. L’elezione è avvenuta nel segno della tradizione: i giudici costituzionali hanno infatti deciso di scegliere il successore di Marta Cartabia seguendo il criterio di anzianità (non di età, ma di mandato), criterio da sempre utilizzato se si escludono rare eccezioni del passato. Stavolta, però, l’elezione ha portato con sé gravi segnali di tensione, che mal si addicono alla suprema istituzione di garanzia. La nomina di Morelli è infatti giunta solo alla seconda votazione (alla prima non era stato raggiunto il quorum) e con un risultato a maggioranza: nove voti a favore di Morelli, cinque per Giancarlo Coraggio e uno per Giuliano Amato, poi nominati vicepresidenti. Mentre Coraggio e Amato avrebbero assicurato alla Corte una guida fino al 2022 (hanno infatti prestato giuramento, rispettivamente il 28 gennaio 2013 e il 17 settembre 2013), il mandato di nove anni da giudice costituzionale di Morelli scadrà il prossimo 12 dicembre, cioè tra meno di novanta giorni.

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Resterà in carica per meno di tre mesi il nuovo presidente della Corte costituzionale, Mario Rosario Morelli, 79 anni, eletto mercoledì dai suoi colleghi alla Consulta. L’elezione è avvenuta nel segno della tradizione: i giudici costituzionali hanno infatti deciso di scegliere il successore di Marta Cartabia seguendo il criterio di anzianità (non di età, ma di mandato), criterio da sempre utilizzato se si escludono rare eccezioni del passato. Stavolta, però, l’elezione ha portato con sé gravi segnali di tensione, che mal si addicono alla suprema istituzione di garanzia. La nomina di Morelli è infatti giunta solo alla seconda votazione (alla prima non era stato raggiunto il quorum) e con un risultato a maggioranza: nove voti a favore di Morelli, cinque per Giancarlo Coraggio e uno per Giuliano Amato, poi nominati vicepresidenti. Mentre Coraggio e Amato avrebbero assicurato alla Corte una guida fino al 2022 (hanno infatti prestato giuramento, rispettivamente il 28 gennaio 2013 e il 17 settembre 2013), il mandato di nove anni da giudice costituzionale di Morelli scadrà il prossimo 12 dicembre, cioè tra meno di novanta giorni.

 

Quella di Morelli sarà quindi una “presidenza breve”. Non è una situazione nuova per la Consulta, visto che già si è verificata in passato (la presidenza di Vincenzo Caianiello nel 1995 durò un mese e 14 giorni, quella di Giovanni Maria Flick nel 2008 durò tre mesi e quattro giorni, per citare due esempi), ma questa volta l’opportunità di impiegare il criterio di anzianità sembra aver spaccato la Corte. L’insolita divisione emersa in occasione dell’elezione di Morelli (la presidente uscente, Marta Cartabia, era stata eletta all’unanimità, pur restando poi in carica per nove mesi) sembra essere il segnale di un timore profondo da parte di una parte dei giudici costituzionali, un timore che pare riguardare il ruolo stesso rivestito dalla Corte nell’assetto istituzionale del paese. E’ chiaro, infatti, che in novanta giorni Morelli sarà in grado a malapena di ambientarsi nelle sue nuove funzioni di presidente, e di conseguenza la sua elezione esclude all’origine la possibilità che la Corte possa svolgere le sue funzioni con l’efficacia e l’autorevolezza che il suo ruolo richiederebbe. Una presidenza così breve e “invisibile”, in altre parole, rischia di risultare disfunzionale non solo per la Corte, ma soprattutto per il delicato ruolo che la Consulta è chiamata a svolgere in ambito istituzionale. Una Consulta “silenziata” non fa bene al paese e sembra averlo confermato un episodio avvenuto proprio la scorsa settimana, quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la legge di conversione del decreto “Semplificazioni”, accompagnando però la sua firma con una severa lettera di critiche. Nella missiva indirizzata ai presidenti di Camera e Senato, e al presidente del Consiglio, Mattarella ha sottolineato che diverse disposizioni della legge (in particolare quelle riguardanti le modifiche al Codice della strada) “non attengono a materia originariamente disciplinata dal provvedimento”, invitando il governo “a vigilare affinché nel corso dell’esame parlamentare dei decreti legge non vengano inserite norme palesemente eterogenee rispetto all’oggetto e alle finalità dei provvedimenti d’urgenza”, in violazione dell’articolo 77 della Costituzione. Si tratta, com’è noto, di un problema ricorrente nella recente legislazione italiana e, come ricordato dallo stesso Mattarella, più volte oggetto di censura negli ultimi anni da parte della Corte costituzionale, “da ultimo, nella sentenza n. 247 del 2019”. Mattarella alla fine ha promulgato la legge, ma colpisce che dalla Corte costituzionale non sia giunto nemmeno un timido monito in favore del rispetto della propria giurisprudenza (monito che, forse, avrebbe potuto anche indurre il presidente della Repubblica a non promulgare la legge). Nessuno, ovviamente, auspica una Consulta eccessivamente interventista. Ma il paese ha bisogno di una Corte costituzionale in grado di svolgere il suo ruolo di garante dell’ordinamento giuridico con il prestigio necessario. Non con un presidente breve e “fantasma”, ma con una guida duratura e autorevole.

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