PUBBLICITÁ

Giusto cambiare l’abuso d’ufficio. Parlano Castaldo, Sgubbi, Visconti

Ermes Antonucci

In attesa di vedere se e come si tradurrà in fatti concreti, alcuni tra i maggiori giuristi in materia valutano positivamente l’apertura del premier Conte

PUBBLICITÁ

Alla fine anche il premier Giuseppe Conte sembra essersi convinto dell’esigenza di riformare il reato di abuso d’ufficio per liberare la pubblica amministrazione dalla paralisi e favorire il rilancio del Paese. “I funzionari pubblici, pur in un’ottica di rigore e trasparenza, devono essere incentivati ad assumersi le rispettive responsabilità – ha scritto il premier in una lettera pubblicata sul Corriere della Sera – Faremo in modo di evitare che sui funzionari onesti gravi eccessiva incertezza giuridica, ad esempio circoscrivendo più puntualmente il reato di abuso d’ufficio e la medesima responsabilità erariale”.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Alla fine anche il premier Giuseppe Conte sembra essersi convinto dell’esigenza di riformare il reato di abuso d’ufficio per liberare la pubblica amministrazione dalla paralisi e favorire il rilancio del Paese. “I funzionari pubblici, pur in un’ottica di rigore e trasparenza, devono essere incentivati ad assumersi le rispettive responsabilità – ha scritto il premier in una lettera pubblicata sul Corriere della Sera – Faremo in modo di evitare che sui funzionari onesti gravi eccessiva incertezza giuridica, ad esempio circoscrivendo più puntualmente il reato di abuso d’ufficio e la medesima responsabilità erariale”.

PUBBLICITÁ

 

Resta ovviamente da vedere se e come questo annuncio si tradurrà in fatti concreti, ma nel frattempo alcuni tra i maggiori giuristi in materia valutano positivamente l’apertura del premier. “Finalmente ci si è resi conto di come le norme penali incerte creano paralisi, specialmente nella pubblica amministrazione”, dichiara al Foglio Filippo Sgubbi, docente di Diritto penale all’Università di Bologna. “Nell’ambito della Pa – aggiunge il docente – la norma penale trascina con sé il danno erariale, quindi siamo di fronte a una tenaglia dalla quale poi il pubblico funzionario non esce, se non con l’inerzia, cioè non firmando assolutamente nulla”. Per Sgubbi la norma che regola l’abuso d’ufficio (l’articolo 323 del codice penale) andrebbe riformulata descrivendo in dettaglio le condotte punite: “In passato la norma è stata riformata nel senso di una maggiore tipizzazione, ma in maniera non sufficiente rispetto alle iniziative delle procure. Bisogna tipizzare di più, quasi a livello di mera elencazione delle condotte punite”.

 

PUBBLICITÁ

Anche Andrea Castaldo, docente di diritto penale all’Università di Salerno e coordinatore di una commissione di studio dedicata proprio alla riforma dell’abuso d’ufficio, giudica favorevolmente la proposta del premier Conte: “Oggi il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizi, si trova ad assumere decisioni in materie complicate da una normativa kafkiana. Allora, per non sbagliare, rallenta l’output decisionale, ad esempio chiedendo pareri o l’intervento dell’avvocatura dello Stato. Questo significa dispersione di energie, dilazione temporale e fuga dal potere di firma”. Per Castaldo bisognerebbe restringere l’area di applicazione dell’articolo 323 del codice penale, che oggi in maniera automatica punisce qualsiasi violazione di norma di legge o di regolamento: “L’articolo dovrebbe applicarsi solo al caso di violazione di una norma che abbia attinenza con il procedimento decisionale in questione”. Un secondo correttivo potrebbe consistere nel “prevedere che il pubblico ufficiale, di fronte alla difficoltà di interpretare una norma, possa chiedere un parere a un organo consultivo della pubblica amministrazione sull’interpretazione di quella norma. Se il pubblico ufficiale si adegua al parere, che deve essere reso entro trenta giorni, allora automaticamente viene esclusa l’ipotesi di abuso d’ufficio”.

 

Ovviamente non si tratta di garantire impunità a qualche furbetto, come sicuramente sosterrà qualche forcaiolo, ma solo di far funzionare una normativa che ad oggi si è rivelata fallimentare: “Con la nostra commissione – spiega Castaldo – abbiamo mappato tutti i processi per abuso d’ufficio avvenuti nel periodo 2012-2017 nel distretto della Corte d’appello di Salerno e abbiamo visto che il numero di procedimenti che finisce con la condanna è solo il 20 per cento. In altre parole, la montagna partorisce un topolino”.

 

Più drastico Costantino Visconti, docente di Diritto penale all’Università di Palermo: “La strada maestra sarebbe quella dell’eliminazione del reato. Non ci sarebbe nessun horror vacui. Le percentuali di riuscita del reato sono bassissime, questo significa che c’è una pulsione irresistibile di controllo penale, anche animato dalle migliori intenzioni, ma che alla fine provoca risultati insoddisfacenti e solo rallentamenti”.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

“La riforma del 1998 – spiega Visconti – ha dato tutto quello che si poteva dare sul piano della tipicità. In una prima fase la giurisprudenza si è adeguata a questa tipizzazione più stretta, ma poi ha ricominciato a interpretarla estensivamente. Viene considerata violazione di legge anche la violazione di una norma costituzionale come l’articolo 97, quindi qualsiasi condotta che, secondo la magistratura, viola il buon andamento o l’imparzialità può rientrare nell’area della punibilità. Ma già solo l’apertura di un’indagine crea l’effetto di congelamento delle attività amministrative”.

 

PUBBLICITÁ

Il problema principale, secondo il docente, è che “finiamo sempre per prendere la scorciatoia penalistica, ma in questi casi andrebbero svolti altri tipi di controllo, in particolare da parte della pubblica opinione. Si tratta di settori riservati all’attività discrezionale della pubblica amministrazione, su cui devono giudicare i cittadini”. Per Visconti “questa potrebbe essere l’occasione proprio per una radicale depenalizzazione, necessaria per efficientare la giustizia penale e depurare il Paese da questa ipoteca permanente”.

PUBBLICITÁ