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Il caso Palamara ricomincia da dove si era interrotto: dalla gogna

Ermes Antonucci

Tornano sui giornali intercettazioni senza rilevanza penale. E c’è chi invoca un’impossibile (ma sacrosanta) riforma del Csm

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Roma. Dopo un breve periodo di sospensione, è ripresa la pubblicazione sui giornali delle intercettazioni relative al “caso Palamara” sulle cosiddette nomine pilotate delle toghe al Consiglio superiore della magistratura. La ripresa del tritacarne mediatico coincide con la conclusione, da parte della procura di Perugia, delle indagini sull’operato del pm romano (ed ex presidente dell’Anm). Luca Palamara rischia il processo, ma nel frattempo sono cadute le accuse di corruzione più gravi nei suoi confronti, come quella di avere ricevuto 40 mila euro per favorire la nomina di un collega. Così, nel solco della migliore tradizione della gogna mediatica, al ridimensionamento delle accuse in sede penale ha fatto da contraltare la pubblicazione sui giornali di stralci di conversazioni penalmente irrilevanti, ma dal grande impatto sul piano etico-morale.

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Roma. Dopo un breve periodo di sospensione, è ripresa la pubblicazione sui giornali delle intercettazioni relative al “caso Palamara” sulle cosiddette nomine pilotate delle toghe al Consiglio superiore della magistratura. La ripresa del tritacarne mediatico coincide con la conclusione, da parte della procura di Perugia, delle indagini sull’operato del pm romano (ed ex presidente dell’Anm). Luca Palamara rischia il processo, ma nel frattempo sono cadute le accuse di corruzione più gravi nei suoi confronti, come quella di avere ricevuto 40 mila euro per favorire la nomina di un collega. Così, nel solco della migliore tradizione della gogna mediatica, al ridimensionamento delle accuse in sede penale ha fatto da contraltare la pubblicazione sui giornali di stralci di conversazioni penalmente irrilevanti, ma dal grande impatto sul piano etico-morale.

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Anche questa volta le intercettazioni non fanno che rivelare ciò che tutti hanno capito da tempo: il sistema di spartizione delle nomine negli uffici giudiziari riguarda tutte le correnti togate, e non certo solo Palamara.

 

Così, se nella prima fase dell’inchiesta la fuoriuscita di notizie aveva portato alle dimissioni di 5 membri togati del Csm (determinando uno stravolgimento dei rapporti di forza interni) e pure del pg di Cassazione Riccardo Fuzio, stavolta nella rete sono finiti altri pesci grossi, in alcuni casi “insospettabili”: il magistrato Fulvio Baldi (dimessosi dal suo incarico di capo di gabinetto del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dopo la pubblicazione di alcune conversazioni con Palamara sulla possibile nomina di una collega al ministero), il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, Dino Petralia (magistrato antimafia che ha sostituito Francesco Basentini alla guida del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), il membro togato del Csm Giuseppe Cascini (capogruppo di Area, la corrente di magistrati di sinistra), il consigliere Marco Mancinetti (Unicost), il procuratore di Milano Francesco Greco, il magistrato Liborio Fazzi (reggente dell’ispettorato al ministero della Giustizia). Tutti non indagati, ma travolti dal ventilatore del fango innescato dal trojan installato nel telefono di Palamara.

 

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Ancora una volta siamo di fronte alla scoperta dell’acqua calda, e cioè che dietro le nomine dei vertici degli uffici giudiziari si celano logiche correntizie e politiche. Così, a un anno dall’esplosione dello “scandalo” delle nomine, tutti sembrano di nuovo cadere dalle nuvole, come Andrea Orlando, vicesegretario del Pd ed ex ministro della Giustizia, che al manifesto ha invocato una svolta: “Fare subito la riforma del Csm”. Di riforma si era parlato all’indomani del caso Palamara, con la proposta dei grillini e del Guardasigilli Bonafede di introdurre il sorteggio per l’elezione dell’organo di autogoverno della magistratura. L’ipotesi occupò il dibattito pubblico per settimane, ma poi non se ne fece niente, complice probabilmente anche il sostegno fornito dalle toghe all’infausta riforma della prescrizione promossa da Bonafede.

 

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E’ altrettanto evidente che ogni intento di riformare il Csm non troverà mai seguito fino a quando lo stesso mondo togato non si mostrerà consapevole delle distorsioni causate dal sistema correntizio. “Le carte di Perugia, per chi avesse avuto ancora dubbi, ci invitano in via definitiva a fare i conti con la realtà e con noi stessi. Un ‘noi’ collettivo che, come emerge quotidianamente, coinvolge tutto l’associazionismo giudiziario e tutti i gruppi associativi, nessuno escluso”, hanno dichiarato in una nota i leader di Unicost, Mariano Sciacca e Francesco Cananzi, cercando di riportare alla realtà i colleghi. Un tentativo che sembra essere fallito, visto che secondo i magistrati di Area “è in atto un attacco concentrico di una parte della stampa e della magistratura” contro il loro gruppo.

 

Il nuovo capitolo del caso Palamara questa volta presenta anche una novità. A essere intercettati e gettati in pasto all’opinione pubblica non sono stati solo magistrati, ma anche alcuni giornalisti (da Liana Milella di Repubblica a Giovanni Bianconi del Corriere della Sera), schedati dai pm mentre colloquiavano con Palamara. L’impressione è che l’antica profezia di Frank Cimini (“Finiranno per arrestarsi fra loro”) andrebbe aggiornata: finiranno anche per sputtanarsi fra loro.

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